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Lunedì 30 Giugno 2003       Gianni VATTIMO
Quel virus che spaventa l'Europa

Ora che il Parlamento italiano ha votato la legge che esonera Berlusconi dai suoi molteplici processi, il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea sembra potersi aprire sotto i migliori auspici. Ma sembra soltanto, e secondo molti, in Italia e in Europa, non sarà così. Già l’idea che si possa «normalizzare» la situazione di un primo ministro imputato in processi per corruzione di magistrati e altri reati di portata analoga è piuttosto stravagante. Come si è detto tante volte, invano, in questi mesi, la sola maniera di difendere il prestigio dell’Italia in Europa e nel mondo sarebbe stata quella di condurre i processi a Berlusconi secondo le leggi valide per tutti i cittadini. Si sono ricordati tanti esempi, anche del Paese che Berlusconi considera il modello della democrazia liberale come lui la pensa, e cioè gli Stati Uniti. Qui il processo Watergate contro Nixon, presidente allora in carica, si è svolto regolarmente e con il risultato delle sue dimissioni.

Più di recente, lo stesso è accaduto con il processo a Clinton (prima per questioni finanziarie, poi per la vicenda Lewinski). In nessun dei due casi gli Stati Uniti hanno subito crisi istituzionali gravi o perdita di prestigio. Anzi, il mondo ha potuto rendersi conto che la giustizia americana funziona. Che dire invece delle leggi ad hoc che, da quando è stato eletto nel maggio 2001, Berlusconi ha fatto approvare dal «suo» parlamento (sempre più spesso appare chiaro che è il proprietario in tutti i sensi), tutte dirette a risolvere i suoi privati problemi con la giustizia? Anche la fretta con cui la maggioranza di centrodestra ha ultimamente approvato la legge che gli garantisce l’impunità praticamente in eterno ha molto poco da fare con il prestigio e l’immagine internazionale dell’Italia. Non serve certo a cancellare dalla figura di Berlusconi le ombre (e anche più che ombre) che proiettano su di lui le circostanziate accuse della magistratura italiana (e, detto di passata, spagnola). Si tratta solo di un errore e di una illusione? Anche su questo vale la pena di riflettere. Può darsi che Berlusconi volesse evitarsi l’«imbarazzo» di una sentenza di condanna che avrebbe potuto arrivare proprio mentre era presidente di turno del Consiglio europeo; ma conoscendo l’uomo e il suo entourage, è ragionevole pensare che le sue preoccupazioni fossero anche più concrete. Si trattava e si tratta per lui di sviluppare una iniziativa che metta al riparo dai rischi giudiziari anche i suoi collaboratori più stretti, talvolta già pesantemente condannati in prima istanza, e che - come ha detto su Previti un ex ministro di Berlusconi, ora pentito, Filippo Mancuso - premono su di lui con veri e propri ricatti.

Quello che si annuncia in Italia, dopo la legge da ultimo approvata che lo mette al sicuro dai suoi processi, è una restaurazione della norma sulla «autorizzazione a procedere» che in Italia era stata cancellata dieci anni fa in occasione dei processi per corruzione che avevano coinvolto tutta la vecchia classe di governo, a cominciare da Bettino Craxi. Ora la maggioranza di cui Berlusconi è proprietario in Parlamento la ristabilirà; dimenticando a) che era stata abolita proprio per l’abuso che ne era stato fatto in tutta la storia della repubblica, specialmente negli ultimi decenni; b) che essa poteva impedire anche il solo inizio di una indagine su un parlamentare - diversamente da come prevede la proposta approvata di recente dal Parlamento europeo, che invece ammette solo la possibilità che il Parlamento chieda la sospensione di un procedimento a carico di un suo membro una volta che esso sia già in corso e che, dunque, presenti accuse, indizi, ragioni circostanziate in base a cui la decisione possa argomentarsi. Nelle recenti discussioni sulla legge «salva Berlusconi», i parlamentari italiani della sua maggioranza hanno invece cercato di far credere all’opinione pubblica che ciò che si voleva in Italia era esattamente lo stesso di ciò che si stava approvando in Europa. Il che, come si capisce chiaramente, non è vero.

Che cosa rischia l’Europa ad avere un presidente come il premier italiano, che, come si vede anche da questi recenti esempi, ha di mira soprattutto il proprio interesse, quello delle sue aziende, e quello dei suoi collaboratori (o, se si vuole, complici) più stretti? La visione che appunto le aziende di Berlusconi, quelle editoriali e televisive, cercano di far passare nell’opinione pubblica italiana è che adesso, finalmente libero dalle persecuzioni giudiziarie, di cui sarebbero colpevoli i magistrati di sinistra, il nostro premier potrà dedicarsi, con la sua nota alacrità ed efficacia operativa, allo sviluppo dell’Unione europea. Ha l’Europa sufficienti anticorpi e difese immunitarie per non cadere nel prossimo semestre in una condizione di democrazia limitata, o sempre più aleatoria, simile a quella in cui ora si trova l’Italia? Berlusconi non ha sicuramente una ideologia politica precisa. Del resto è quello che si vede sia dalla frequente contraddittorietà delle sue affermazioni e iniziative, sia dall’eterogeneità della maggioranza che lo sostiene in Parlamento, unificata solo, ma assai imperfettamente, dal collante della sua potenza finanziaria, mediatica, pubblicitaria. Tuttavia, la mancanza di una ideologia e di un preciso progetto di società sono sostituite, in Berlusconi e nella sua politica, dalla «ovvietà» di due punti di riferimento costanti: la società di mercato e la fedeltà agli Stati Uniti. Si può persino riconoscere che il solo riferimento indiscusso è il secondo; giacché in quanto monopolista di settori sempre più centrali dell’economia odierna, soprattutto l’informazione, l’intrattenimento, la pubblicità, il suo liberismo appare sempre più tiepido; così, da quando ha potuto impadronirsi in Italia anche della televisione pubblica in quanto capo del governo, non parla più di privatizzazione della Rai; e il suo ministro del Tesoro si mostra sempre più incline a favorire l’ingresso, o il ritorno, dello stato in settori più o meno in crisi dell’industria privata (a cominciare dalla Fiat). Ma la fedeltà agli Stati Uniti non comporta solo uno spiccato atlantismo in politica estera - cioè un atteggiamento ben radicato in Europa e solo di recente divenuto problematico.
 
Il modello americano significa per Berlusconi anche la revisione del sistema del welfare e la progressiva riduzione della previdenza sociale, la privatizzazione della salute, della scuola e della ricerca. Significa poi porre l’accento sulla «lotta al terrorismo» che giustifica riduzioni della privacy, limitazione dei diritti civili, e irrigidimento generale sul tema dell’immigrazione. A Salonicco, in questi ultimi giorni, Berlusconi ha insistito sulla tesi - di per sé giusta - che la vigilanza sulla immigrazione clandestina deve essere un impegno di tutta l’Europa, e non solo degli stati che, come l’Italia, si trovano al confine e subiscono la pressione dei tanti poveri che vengono a cercar lavoro da noi. Una parte notevole della coalizione del governo Berlusconi, predica in Italia la necessità di respingere gli immigranti clandestini a cannonate. Difficile non pensare che quando parla di una responsabilità europea nei confronti degli immigrati, Berlusconi non si lasci guidare da queste stesse idee: l’Europa fortezza assediata dai poveri del terzo mondo, ed esposta al rischio dell’attacco islamico alle nostre tradizioni, e al terrorismo che vi si lega, è un’immagine che può trovare consensi nella parte più retriva e xenofoba dei governi del continente. Se si pensa poi che la proposta di creare dei «campi» per la detenzione di immigranti clandestini alle frontiere dell’Europa viene da quell’altro campione dell’atlantismo incondizionato che è Blair, sostenuto da Aznar, si può capire che il «rischio Berlusconi» per l’Europa non è tanto immaginario. Senza dimenticare mai che chi dice Berlusconi dice mass media e pubblicità. È l’Europa ben difesa contro la possibilità che il modello italiano, o meglio il virus italiano, si diffonda a livello continentale? Si parla sempre più di una partecipazione di Berlusconi alla proprietà dell’impero mediatico di Kirch, in Germania; della sua amicizia consolidata con Murdoch. Per non parlare dell’insistenza con cui egli insiste sulla futura adesione della Russia di Putin all’Unione. Chi avrebbe potuto immaginare che l’anticomunista accanito che Berlusconi è sempre stato in Italia sarebbe diventato così amico di un ex esponente del Kgb? Anche qui, difficile vedere ragioni politiche, che certo non coincidono con l’interesse dell’Unione europea. Interessi di affari, probabilmente. Ma se ci si spinge su questo terreno, si delinea anche il rischio concreto che il virus italiano, fatto di corruzione amministrativa, di veri e propri legami mafiosi, e di impunità ottenuta con la manovra di docili maggioranze parlamentari e di ottundimento dell’opinione pubblica, infetti un’Europa già ampiamente preparata ad ammalarsi. Perciò, forse, occorre ripetere: Europa attenzione! Achtung Europa!


 
 
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