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Mercoledi 23 Luglio 2003 CORSERA di Salvatore BRAGANTINI
Favore a Mediaset e principi ignorati
L’approvazione, avvenuta in Senato ieri, della nuova «legge di sistema» dei media è uno di quei momenti in cui si rivela l’adeguatezza o meno della classe dirigente di un Paese. La legge ignora i più elementari principi liberali in materia di mezzi di comunicazione, confermando una posizione d’assoluto favore conquistata da un operatore grazie a una incredibile serie di circostanze, posizione che non ha uguali nel mondo occidentale. L’Italia si rivela sempre più come il Paese dell’«incumbent», cioè di chi detiene una posizione consolidata, che nessun «challenger», o sfidante, potrà mai smuovere.
 
Il tutto avviene in coincidenza, ovviamente casuale, con il fatto che il presidente del Consiglio è anche il (mero) proprietario di questo operatore. Non potrebbe essere più evidente il contrasto con gli auspici di un regime più rispettoso del pluralismo informativo contenuti nel messaggio presidenziale inviato alle Camere giusto un anno fa su questa materia (e ascoltato, purtroppo, da un’assemblea pressoché deserta). Si noti che lo stesso presidente del Consiglio riconosceva queste esigenze quando diceva agli elettori che lui in Rai non avrebbe toccato neppure una pianta: chiedere al «ficus beniamina» di Biagi, Luttazzi e Santoro, per credere.
 
I difetti di questo progetto di legge sono noti: esso cristallizza una situazione di fatto dichiarata non conforme al dettato costituzionale (dalla Consulta) e alle norme Ue (dall’Autorità Antitrust); ancora, esso consentirà fra pochi anni ai network televisivi (in chiaro, a Mediaset) che hanno accumulato risorse ingenti, grazie a un regime eccezionale e temporaneo, di acquistare o fondare quotidiani, mentre gli editori di giornali potranno solo chiedere di entrare nel network dominante.
 
Per finire, esso prevede una «privatizzazione burla» della Rai, dove di conseguenza nulla cambierà. Le fragili forze dell’opposizione fanno il loro mestiere, ma i numeri sono schiaccianti. D’altro canto, qui non si tratta di destra o sinistra, ma dei principi che sono alla base di una società civile, che deve parlare se ritiene che ci siano interessi superiori in gioco.
 
Ascoltiamo spesso ampie spiegazioni sull’Italia che i nostri grandi imprenditori vorrebbero; il tutto spaziando dall’economia all’istruzione, dalla ricerca scientifica alla prevenzione delle disgrazie naturali. Per carità, giustissimo, ormai è l’impresa il vero motore dello sviluppo, il che giustifica questi interventi; ma nella vita, con gli onori vengono anche gli oneri. E l’onere che la classe dirigente del Paese deve sentire oggi è quello di parlar chiaro al Paese, anche se costa qualcosa oggi in termini di consenso politico.
 
«Mediaset balza in Borsa su voto Senato», riportava la Reuters alle 16.15 di ieri: il Paese ha diritto di sapere che cosa ne pensa l’industria italiana. Han perso proprio tutti la voce?

 

 
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