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Martedì  29 Luglio 2003 CORSERA Francesco VERDERAMI 

E il premier disse: rompiamo l’assedio
«Perché lo sappiamo tutti che era Berlusconi a voler bloccare le rogatorie»

ROMA - Anche stavolta lo strappo verrà ricucito. Ma se è vero che la strada della crisi era impraticabile, se è vero che nel centrodestra non esistono alternative agli attuali equilibri, è impossibile immaginare che un governo in preda a quotidiane fibrillazioni possa affrontare e superare indenne il tornante d’autunno. Il centrodestra vive ogni giorno di emergenze, e ieri andava trovato rapidamente un compromesso per evitare che lo scontro tra l’Udc e il ministro della Giustizia sulle rogatorie internazionali precipitasse in Parlamento. Era ovvio che non potesse finire in quel modo, così com’era ovvio che dovesse intervenire Berlusconi, la cui principale preoccupazione ieri era evitare «un danno all’immagine di Castelli»: «I centristi non possono chiedere che perda la faccia. E non sarà così». Al Senato toccherà a Fini ricomporre la frattura, sarà lui oggi a sottolineare che il Guardasigilli non aveva bloccato ma solo sospeso le richieste avanzate dal pool di Milano per l’inchiesta su Mediaset, spetterà al vice premier spiegare che il governo «nella sua collegialità» ha interpretato le norme sul Lodo Maccanico, e sulla base dell’interpretazione darà il via libera alle rogatorie. Così il ministro sarà «salvo» e l’Udc avrà centrato l’obiettivo. A quel punto il voto sulla mozione di sfiducia chiesto dalle opposizioni non servirà. In fondo avranno vinto anche loro.

Perché nel centro-destra rimarranno evidenti i segni dello sbrego. Furibondo con Follini, nel pomeriggio il premier era stato tentato di porre fine allo scontro con un comunicato in cui avrebbe difeso l’operato di Castelli, garantendo al tempo stesso lo sblocco delle rogatorie. Berlusconi aveva anche chiamato il ministro, al quale aveva espresso la solidarietà contro «quegli alleati che hanno ereditato i vizi della vecchia Dc»: «Ma bisogna rompere l’assedio. E sarò io a farlo, sarò io a chiedere di far partire le rogatorie. Così la smetteranno di cercare pretesti tecnici per montarci su un caso politico».

La tensione si era fatta troppo alta. Casini aveva avvertito che il Guardasigilli non avrebbe potuto chiedere alle Camere un’interpretazione della legge, impedendo così a Castelli di sfruttare quella via di fuga. «Quando una maggioranza si trova d’accordo sul merito e si divide sul metodo, significa che si sono esaurite le ragioni dello stare insieme», sospirava un autorevole esponente del Polo: «Siamo in un vicolo cieco. Cosa accadrà la prossima volta, se una forza della coalizione vorrà far valere le proprie ragioni? Gli strumenti sono stati tutti adoperati. Ne rimane uno solo: la crisi». L’Udc aveva appena rilanciato l’ultimatum al Guardasigilli, segno che il partito di Follini voleva «piegare la Lega» e al tempo stesso avvisare il Cavaliere che «d’ora in poi dovrà instaurare un rapporto corretto con gli alleati».

Berlusconi decideva di rimanere nell’ombra mentre a palazzo Chigi Fini, Letta, Giovanardi e Castelli trovavano il punto di mediazione. In verità quel punto di mediazione era già stato in parte individuato nei giorni scorsi, e ciò fa capire che nessuno aveva intenzione di cedere all’altro, quasi che tutti gli attori volessero recitare fino in fondo la propria parte, nell’attesa di un segnale del regista. Il segnale arrivava, Berlusconi decretava la fine «di una vicenda che si poteva risolvere per telefono, invece di farla montare sui media». Ma se il premier si lamenta per «lo spettacolo distorto che è stato offerto del governo», le responsabilità ricadono in primo luogo proprio su chi è alla guida del governo. Certo i centristi hanno approfittato del «caso» per calcare la mano e mettere all’angolo Bossi, ma nel Palazzo molti s’interrogano per quale motivo il caso è esploso. Ieri, durante l’ufficio politico l’Udc, il ministro Giovanardi aveva invitato Follini a non accanirsi contro Castelli: «Perché lo sappiamo tutti che era Berlusconi a voler bloccare le rogatorie».


 

 
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