I giudici della Quarta sezione
del Tribunale di Milano pur nel giusto sconcerto per lo strazio della giustizia
cui hanno dedicato la vita, ci vanno leggeri, definiscono la madre di tutte le
rapine "la più gigantesca corruzione dell’Italia repubblicana"; ma
in quella monarchica non era neppure pensabile fottersi l’equivalente di mille
miliardi di lire in una bòtta sola, oltretutto un singolo episodio nel rapporto
di sistematico noleggio di giudici, a libro paga per innumerevoli sentenze da
aggiustare, da truccare. Insomma quella di Previti, che agiva nell’interesse
Fininvest, e degli avvocati e dei giudici mantenuti è secondo la Corte la più
grande ruberia nella pur atroce storia della corruzione nazionale dai tempi di
porta Pia. Non un processo al braccio destro di Berlusconi, precisano i giudici,
ma un "processo ad alcuni magistrati e ai loro inconfessabili rapporti con
un gruppo d’avvocati d’affari, al punto di poter parlare di degrado della
giustizia che da cieca fu trasformata in privata". Almeno abbiamo capito in
cosa consistevano certe smanie liberiste, basate sulle privatizzazioni che
riempiono la bocca, le cartelline coi programmi dei partiti e soprattutto le
saccocce: "A Renà te stai a scordà questi", una paccata di banconote
consegnate e prese senza imbarazzo, è la scena sublime che da sola basta a
illustrare la pagina più sordida dell’Italia non solo repubblicana.
Un unicum, quello del
supermercato dei giudici, studiato con incredula attenzione dagli innumerevoli
esteri che ci osservano. La cosa che più sconcerta, che riesce più difficile
da accettare oltreconfine è che i responsabili morali e materiali dell’abisso
corruttivo, della madre di tutte le rapine coincidono con le più alte cariche
pubbliche sono cioè quelli che comandano, che mandano avanti, per così dire,
il Paese. E che lo rappresentano in Europa, nel mondo. Non in galera ma al
governo, in parlamento. Le parole del presidente Carfì e dei giudici a latere
Consolandi e Balzarotti non possono, pur nell’asetticità del ruolo, sottrarsi
dal mettere in evidenza la pochezza morale di tutti gli imputati così come non
risparmiano all’imputato di pietra, il presunto "privato corruttore"
già prescritto alcuni pesanti rilievi sulla sua condotta processuale, tutta
tesa a sfuggire, a eludere, ad annunciare deposizioni puntualmente smentite
dalla "facoltà di non rispondere".
Se erano questi i metodi per
mettere in piedi un impero (e una parte non piccola, anzi fondamentale
dell’impero si assume oggi essere stata conquistata con quelle sentenze
invalide, vergate da quei giudici marci di corruzione), allora sbiadisce anche
la favola bella del "grande impreditore" millantata da destra e,
purtroppo, spesso anche da sinistra. E’ troppo facile "vincere
sempre", come si vanta il cavaliere, quando gli arbitri, che lui sapesse o
meno, sono sponsorizzati dalla sua squadra. E non parliamo neppure del
"flusso illimitato di denaro liquido oltre ogni merito creditizio" di
cui si stupiva la presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla
P2, Tina Anselmi, delle finanziarie coperte, delle banche piduiste che
alimentavano il nascente impero Fininvest, della superpotenza mediatica
cresciuta nel buco nero della legge, nell’impotente disperazione della Corte
Costituzionale, nella colpevole distrazione quinquennale del centrosinistra al
governo.
Un mercato delle vacche
nauseante quello descritto nelle circa mille pagine di motivazioni, del tutto
privato, che di politico non ha nulla salvo la decisione di scendere in politica
per difendersi dal corso della giustizia, dalle sentenze che prima o dopo
arrivano. Chissà se l’onorevole Previti vi attingerà per arricchire il suo
sito internet intitolato, socraticamente, "la verità".
Pazzesco, semplicemente folle
scomodare i complotti ideologici, comunisti per faccende di una bassezza quasi
incredibile, da cosca degli affari, una lista di magistrati, di servitori dello
Stato sul libro paga di un avvocato privato rappresentante di un gruppo
industriale. Come è possibile che i responsabili di una simile "gigantissima"
devastazione della Repubblica e della giustizia continuino a guidare, a
incarnare la Repubblica e, per interposto guardabirilli, la giustizia? Cosa ci
trattiene, cosa trattiene le opposizioni dal chiedere subito, qui ed ora, il
ritiro, la cacciata di personaggi che nella più benevola delle ipotesi usurpano
le poltrone della democrazia dopo averla saccheggiata e violata? Non hanno nulla
da dire i loro stessi alleati, che da politici, da figure pubbliche dovrebbero
tenere anzitutto al proprio decoro, alla loro personale dignità e integrità?
Come possono decentemente continuare a difenderli, a fidarsene, a votarli quanti
li hanno mandati a gestire, a impersonare le istituzioni?
L’altra considerazione quasi
imposta dalle motivazioni della sentenza Imi-Sir/Lodo Mondadori, scatta là dove
il collegio sottolinea la condotta ostruzionistica della difesa, tesa unicamente
a ostacolare il processo, quanto basta a far piazza pulita delle risibili
giustificazioni degli avvocati previtiani che hanno ancora il coraggio di
lamentare la violazione dei diritti di difesa dei quali hanno impunemente
abusato per otto anni. Scrive addirittura il Tribunale che con il loro
paralizzare oltre ogni decenza i processi, i difensori di Previti & c. hanno
dato modo al collegio di scoprire ulteriori prove sfavorevoli agli imputati,
sfuggite persino ai pubblici ministeri. La Nemesi procedurale, i furbissimi
prede delle proprie astuzie, del loro infinito cavillare.
Ma le parole del presidente
Carfì e dei colleghi a latere restituiscono, se mai ce ne fosse stato bisogno,
anche piena dignità ai pm Boccassini e Colombo certificando l’assoluta
correttezza del loro operato e la giustezza delle tesi accusatorie, facendo
anche, implicitamente, giustizia di otto anni di rappresaglie mediatiche e
giudiziarie dai sicofanti dell’imputato di pietra di questi processi.
Insomma ce ne sarebbe
abbastanza, in un Paese non diciamo normale ma appena umano, per convincere i
condannati, i prescritti che forse li mandavano, i corruttori, i corrotti, chi
li difende e chi li vota, i kamikaze, i sicofanti, i megafoni, i pennivenduti e
gli intellettuali a tassametro ad andarsi a nascondere, a sparire per sempre.
Invece restano e si agitano tutti insieme, eruttano le immancabili ritorsioni
come l’incredibile minaccia di una commissione d’inchiesta per incriminare
la magistratura "che forse incarna un disegno criminale di matrice
comunista", come subito ha vomitato il portaparola Bondi e questa è
davvero la Madre di tutte le vergogne, roba che a sentire da quali bocche esce e
in relazione a quali vicende dovrebbe indurre al riso se non provocasse nausea.
Questa è gente che quando un giudice assolve o prescrive non manca mai di
ammonire che "le sentenze si rispettano non si commentano". Se però
le motivazioni non soddisfano, se sono mortificanti come in questo caso, allora
si contestano, non si accettano, si lavora di fantasia, si inscenano complotti
politici, si minaccia, si polemizza.
Ma che cazzo volete ancora
polemizzare? |