Il calcio senza limiti e senza
pudore economico che proprio Silvio Berlusconi impose con il suo avvento alla
presidenza del Milan, dopo aver fornito al Cavaliere, insieme alla Tv
commerciale, la macchina del consenso per sostenere la sua discesa in campo
nella politica, adesso gli scoppia, come un «botto» di carnevale, sotto la
sedia. E il premier-operaio è costretto a varare in fretta e furia un
controverso decreto legge che azzera la corsa di molti presidenti di club
professionistici a risolvere, con un ricorso al Tar, i propri fallimenti tecnici
e gestionali e forse, neutralizza anche la tentazione di alcuni di questi
tribunali amministrativi regionali di riscrivere le classifiche dei campionati a
seconda della propria fede calcistica.
Di fatto, però, il decreto legge al quale il governo ha dovuto ricorrere,
delegando solo al Tar del Lazio e poi, eventualmente, al consiglio di stato la
possibilità di risolvere controversie non composte dall'ormai screditata
giustizia sportiva, rappresenta la sconfitta di una certa idea di calcio
professionistico. Una filosofia che si è venuta affermando negli ultimi
quindici anni proprio con il cambio di marcia commerciale suggerito,
all'universo del pallone, dal Milan del Cavaliere. Un'idea neoliberale, dominata
da un business sempre più incorretto, senza più regole uguali per tutti o
certe per tutti, se non il dominio del più arrogante.
Il gioco poi, con l'affermarsi
del mercato dei diritti televisivi delle partite criptate è diventato
addirittura spietato. Con il Milan e la Juventus che usufruiscono, per esempio,
di una porzione di utili esagerata rispetto a quanto tocca, negli altri paesi
europei, alle società di egual censo ma che evidentemente sentono più forte
l'esigenza di equità e la certezza che il calcio non lo si può giocare da soli
o proponendo incontri sempre fra le stesse squadre (come Juve e Milan hanno già
fatto 3 volte in meno di 15 giorni quest'estate). Finora tutto era andato avanti
con l'arte del compromesso.
Inviando magari Franco Carraro,
vecchio navigatore dello sport e della politica italiana, a presiedere
nuovamente la Federcalcio, dopo una lunga guerra di posizioni che aveva diviso i
club ricchi dal resto dell'universo pallonaro italiano. Un altro compromesso era
stato quella di eleggere alla Lega (la Confindustria del pallone) Adriano
Galliani (amministratore delegato del Milan), proprio il dirigente che con
Antonio Giraudo della Juventus spinge da tempo per un campionato europeo da far
disputare ai club di maggior potenza finanziaria, lasciando il resto del
movimento calcistico di casa nostra al suo destino. In questa gestione
sconsiderata dove il consenso dei presidenti poveri (di A e di B) veniva
comprato dai club poderosi con una congrua cifra che veniva iscritta nei bilanci
della Lega sotto la voce «mutualità», era normale evidentemente per la
giustizia federale comminare pene ridicole per gli scandali dei falsi passaporti
o per i casi di doping che nella stagione passata hanno sfiorato Juventus Milan
Inter Roma Lazio Parma. Nessuno allora ricorreva al Tar per questi insulti e per
queste offese alla legalità, malgrado fosse chiaramente intaccata la
credibilità degli stessi campionati. Ognuno aveva il suo scheletro nell'armadio
da nascondere.
L'iniziativa del disinvolto Gaucci (padrone di Perugia Catania e Sambenedettese)
di rompere la clausola compromissoria (che impegna il mondo dello sport a non
rivolgersi alla giustizia ordinaria) e l'insistenza di Gaucci stesso di
ricorrere a vari Tar per restituire la serie B al Catania che l'aveva persa sul
campo ma poteva approfittare a sorpresa di una incongruenza della giustizia
federale, ha rotto evidentemente il gioco dei precari equilibri, dei
compromessi, dei ricatti su cui si reggeva questo calcio. Un movimento che è
copia palese dell'attuale sciagurato momento della nostra società. Berlusconi
ha chiuso la bocca ai Tar ma questa volta non può gioire per avere ancora
sconfitto degli organi di giustizia. Una mediocre storia di poca trasparenza
nella gestione del nostro calcio professionistico ha scoperchiato infatti il
verminaio rappresentato dal modello di gestione del calcio scelto anni fa
proprio dall'attuale presidente del consiglio dei ministri e ha fatto tremare
l'unità del suo governo forse più di quanto ci si potesse aspettare, quasi
come per le questioni riguardanti giustizia ed economia.
E siamo anche curiosi di vedere se la Lega calcio, presieduta da Adriano
Galliani, sarà capace di convincere i modesti parvenue del calcio di serie B a
giocare un campionato infinito a 24 squadre come pretendono La Russa e gli
alleati di governo di An. |