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LA STAMPA - 28 Gen 2001
...Berlusconi si crede Gesù
di BRUNELLA GIOVARA
Berlusconi: voglio le politiche il 22 aprile.
«Mi lasciano un Paese allo sfascio e parlano di risparmi sul voto»
LO SCONTRO SULLA DATA - COSA PREVEDE LA NORMATIVA
MILANO «La sinistra cerca di
rimandare il giorno del giudizio». Perciò, dice Silvio
Berlusconi, che si voti presto: il 22 aprile, e solo per le
politiche. Subito dopo le amministrative, magari «a giugno, ma
siamo anche disposti a votare una leggina per spostarle ad
ottobre». Siamo a Milano, con la platea dei «seniores»
lombardi di Forza Italia. «Giovani leoni e giovani leonesse»
dai capelli bianchi lo accolgono festanti e cantanti «Fratelli
d’Italia». Festanti anche i presidenti di Regione (Formigoni)
e Provincia (Ombretta Colli). Assente il sindaco di Milano
Albertini: ufficialmente impegnato sulla tomba di Giuseppe
Verdi, manda una lettera di ringraziamento (ai «seniores»).
Lettera scritta, o almeno datata, il giorno dopo il vertice
Berlusconi-Bossi, che riapre l’eterno giallo sulla sua
ricandidatura e sui difficili rapporti con la Lega, e quindi
con la Casa delle Libertà. Berlusconi però oggi non vuole
gialli: «A Milano va tutto bene. Sono i giornalisti a creare
zizzania» (Formigoni invece dice chiaro che «le città si
governano con la politica e non con i personalismi»). A Milano
dunque, città immune dalla zizzania, Berlusconi spiega che non
ci possono essere dubbi di scelta, «tra uno che nella sua vita
ha dimostrato di saper fare, e uno che ha dimostrato di saper
parlare», ovvero il rivale Rutelli. Si unisce al coro che
canta l’inno nazionale, mostra i pugni come un Rocky
vittorioso a fine match, infine attacca: un’ora e 50 di
discorso, tra programma politico, progetti (il ponte sullo
Stretto, e «più di un milione di posti di lavoro»), ramanzine
a chi è suo coscritto («classe di ferro ‘36»), ma si trascura,
«non si tiene su», nonostante «noi siamo giovani, e la scienza
ci dice che supereremo i cento anni in attività». Animo,
dunque, «ragazzi e ragazze del ‘48», memori di quell’anno «del
destino». «Io non dimentico mai che dobbiamo tanta gratitudine
a quegli uomini che formarono quel centro di De Gasperi,
superando l'egoismo, per mettersi insieme contro il Fronte
Popolare dei socialisti e dei comunisti, e scegliere
l'Occidente, la democrazia la libertà. Ed è quello che anche
oggi stiamo cercando di fare». Si arriva al nocciolo con
l’election day, che «sarebbe ancora una volta un attentato
alla democrazia», perché «non si possono cambiare le regole
del gioco per interesse di parte» (e per questo «presenterò le
mie rimostranze al presidente Ciampi»). Ricorda che «nel ‘96
si votò in aprile e in giugno. Non si capisce perché oggi non
si possa fare la stessa cosa». Il perché lo dice lui
subito dopo: la sinistra ha paura, e poi manifesta in questo
modo la sua concezione di democrazia: «L’affermazione del
potere della maggioranza senza tenere conto dei diritti della
minoranza». I «seniores» applaudono, soprattutto quando
Berlusconi sbotta in un «non mi vengano a dire che così si
risparmiano 200 miliardi, e si evita di chiudere un’altra
volta le scuole. Con tutte le migliaia di miliardi sprecati!».
Perché «io tornerò a Palazzo Chigi - e chiosa ‘’se ci tornerò,
ma ci tornerò’’ - con 400 mila miliardi di debito pubblico in
più». Democrazia è la parola più usata dal leader degli
azzurri: il primo dovere di una democrazia «è mettere gli
elettori nelle condizioni di esprimersi liberamente», e «sarà
vera democrazia solo quando tornerà a valere il voto
liberamente espresso dagli elettori, e fedelmente rispettato
dagli eletti». Quella di oggi, comunque, «democrazia non è».
Accorpare politiche e amministrative porterebbe alcuni
Comuni a far votare «anche con nove schede», e in quella che
chiama, alla maniera leghista, la «gabina elettorale», si può
facilmente prevedere «che qualcuno possa entrare in
confusione». E qui si arriva ai brogli (parola mai
pronunciata, però). «Stiamo attenti alla possibilità di
sofisticazioni elettorali: se non sono certe, sono però
ipotizzabili». La sua memoria torna al 1996, quando «anche
se non eravamo convinti, abbiamo accettato quei risultati». Ed
ecco la lista delle possibili «sofisticazioni»: «Nel
maggioritario ci sono state 1 milione 711 mila schede
annullate. E in ben 75 collegi le schede nulle sono state
superiori rispetto alla differenza tra Polo e Ulivo». Segue
elenco dei casi più sospetti: «Pozzuoli, dove il Polo perse
per 41 voti, e le schede nulle furono 4.605. Sassari, perso
per 50 voti, schede annullate 3416. Roma, quartiere
Gianicolense, perso per 65 voti, schede annullate 3034.
Tricase, perso per 56 voti, schede annullate 3510».
Altrove, in Calabria e in Abruzzo, «è bastato essere lì
con i nostri rappresentanti di lista e scrutatori per fare
annullare meno schede». Perciò «voi seniores, che dentro vi
sentite giovani leoni e giovani leonesse, dovete essere un
presidio di guerrieri» (s’intende, fuori dalle «gabine», a
sorvegliare la correttezza del voto). «Siate apostoli del
Verbo», esorta. «Tanto lo so: domani qualcuno dirà che
Berlusconi si crede Gesù».
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