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L'ESPRESSO - 1 Mar 2001
Andreotti: "Il Centro sono io" -
di MARCO DAMILANO

LA SORPRESA DELLE PROSSIME ELEZIONI È GIULIO ANDREOTTI. E DÀ FASTIDIO A BERLUSCONI
Sconvolti i ruoli previsti nel mondo cattolico. Soprattutto in Comunione e Liberazione. Ma anche nella gerarchia vaticana. E i fedelissimi di Giulio non hanno dubbi: porteremo via voti al Polo.

 
Vedrete, il fattore A sarà devastante... Il Contadino sorseggia una bottiglietta di Coca Cola in piazza San Lorenzo in Lucina. Raffaello Fellah, imprenditore italo-libico, ebreo sefardita, il cui cognome in arabo e in ebraico significa agricoltore, azzarda un pronostico: «La palla di neve diventerà una valanga. Il vecchio giocatore sarà la vera rivelazione del campionato».
 
Già: a scuotere l'epilogo annunciato delle elezioni 2001 c'è una sorpresa chiamata Giulio Andreotti. Il sette volte presidente del Consiglio, 82 anni, si gioca l'ultima partita della vita con l'entusiasmo di un ragazzino. Nel suo ufficio di Palazzo Giustiniani convoca, riceve, consulta, come ai bei vecchi tempi. Nei momenti liberi, mentre Berlusconi e Rutelli fanno la fila per essere ricevuti in Vaticano, corregge le bozze del mensile "30 Giorni", da lui diretto, su cui si confrontano cardinali di mezzo mondo. In gran segreto, la scorsa settimana, ha incontrato Camillo Ruini per spiegare il suo progetto.
 
È l'effetto Giulio. Fino a poche settimane fa Democrazia europea era il drappello di Sergio D'Antoni. Ora l'ha preso in mano Andreotti e dà fastidio a tutti. Soprattutto a Silvio Berlusconi. Ma l'attivismo andreottiano sconvolge i ruoli prefissati soprattutto nel mondo cattolico. E dà una mazzata a due miti consolidati: il monolitismo di Comunione e liberazione e la spiccata attitudine dei nipotini di don Giussani a stare dalla parte vincente.
 
In questi giorni gli uomini di Cl sono in sofferenza. Divisi tra le ragioni del cuore che dicono Andreotti e gli interessi che spingono verso Berlusconi. L'imbarazzo tra i capi storici è enorme. Tace Giancarlo Cesana. Tace Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle Opere, 32 sedi in 17 regioni, 15 mila piccole e medie aziende associate. Tace l'Erede, l'anello di congiunzione tra Andreotti e Berlusconi, la vecchia e la nuova Dc, il governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Parlano le seconde file. «Andreotti? Grande rispetto, attenzione e stima», ribadisce Massimo Ferlini, ex Pci approdato alle cooperative cielline. Ci mancherebbe.
 
Ma fuori dalla ufficialità c'è irritazione per un'operazione vissuta come anti-berlusconiana: «Sì, Andreotti ci rompe le palle», ammette il direttore del settimanale "Tempi" Luigi Amicone: «Nei collegi di frontiera porta via voti, da altre parti fa vincere male, è una mossa di disturbo. E poi manca di generosità: se Berlusconi non avesse contrastato le procure oggi non ci sarebbe neppure lui».
 
Certo, una guerra così nessuno se l'aspettava. Al meeting di Rimini di fine agosto gli ambasciatori ciellini avevano preparato il grande abbraccio, il passaggio del testimone da Giulio a Silvio. Invece, è andata male. Forse una battuta del Cavaliere («Il centro? C'è già, sono io»). Forse l'allergia del senatore per i capi assoluti («Una volta c'era il reuccio, Claudio Villa. Ora non ne abbiamo bisogno»). Soprattutto la svolta di Berlusconi sulla legge elettorale, l'abbandono del progetto di ritorno alla proporzionale, ha provocato in Andreotti la sensazione della presa in giro. Così, quando Giulio ha cominciato a preparare la vendetta, i primi a rispondere all'appello sono stati i fedelissimi, il gruppo della Cascina, Marco Bucarelli, don Giacomo Tantardini: i "romani", come li chiamava De Mita. Superate le disavventure dei tempi di Sbardella e del "Sabato", oggi la Cascina è una holding: ha 6 mila lavoratori, gestisce mense e alberghi, fattura 600 miliardi, e con l'Italturist, rilevata dall'ex Pci, un tempo presieduta da Cossutta, porta in vacanza 40 mila italiani l'anno. Ma la passione politica è rimasta la stessa.
 
Il gruppo già da tempo si muoveva controcorrente rispetto alle scelte della Cdo. Dal '97 ha stretto l'alleanza a Roma con Rutelli, alle europee del '99 ha candidato Fellah nelle liste dell'Asinello: 18 mila preferenze. Amicizie che hanno fatto scattare la scomunica di quella parte della Compagnia che sta col centro-destra. «La Cascina con noi non c'entra nulla, forse sono usciti e ora vogliono rientrare», afferma il vicepresidente della Cdo Giampaolo Gualaccini. Lo scontro tra le due fazioni è durissimo: una settimana fa Andreotti ha convocato Vittadini e i vertici nazionali della Compagnia. L'unico no secco alla richiesta di appoggiare Democrazia europea è arrivato da Maurizio Fossati, in corsa per la Camera con Forza Italia, insieme ad Aldo Rivela, già nel consiglio della Sapienza, gestore di mense e appalti, oggi braccio destro di Storace alla Regione Lazio.
 
Ma Fossati è rimasto isolato. A Roma Cl si identifica con Bucarelli. Negli ultimi mesi il presidente della Cascina ha lavorato per il dialogo tra Rutelli e Andreotti. Ultimo episodio: un incontro a fine gennaio sulla Prenestina, nella casa don Bosco dei salesiani. Teatro gremito, sedie di legno, foto di Bogart alle pareti, Giulio e Francesco uno accanto all'altro, Bucarelli in prima fila. Qualche settimana prima i due avevano litigato per una frase di Rutelli sul processo di Palermo che aveva fatto infuriare il senatore. La pace è tornata grazie a un intervento dei comuni amici ciellini. E alla casa don Bosco il candidato premier aveva confessato un sogno: «Spero di tornare qui tra quarant'anni senatore a vita. Tu Giulio sarai presidente del Consiglio».
 
Un altro personaggio importante è il padovano Graziano Debellini, leader storico dei ciellini veneti, primo presidente della Compagnia delle Opere, consigliere di amministrazione del "Sabato", presidente della Tivigest, un milione di turisti ospitati l'anno scorso. In autunno ha invitato Andreotti all'Università di Padova per un incontro su "Compromesso e l'arte della politica". Ottocento giovani presenti e un messaggio del senatore: «Siate gelosi del pluralismo». Ora Debellini promette battaglia: «Quanto prenderemo? Ce la metteremo tutta. Saremo scomodi per chi aveva già fatto i suoi calcoli».
 
In Veneto, regione bianca per eccellenza, Democrazia europea si gioca molte possibilità di strappare voti a Forza Italia. Buoni segnali arrivano da Friuli, Piemonte, Bergamo, Brescia. E a Milano sono venute alla luce le prime crepe tra Cdo e giunta Formigoni, quando i laici di Forza Italia hanno bloccato la nomina del ciellino Zola alla Fiera. Amicone è scettico: «Possono prendere qualcosa in Campania e Sicilia, ma al Nord non superano lo 0,5 per cento».
 
Nell'entourage del senatore pensano il contrario. E fanno notare che un primo risultato è già ottenuto: la Cdo non potrà schierarsi per Forza Italia come avvenne in modo ufficioso un anno fa alle regionali. Stesso discorso vale per le gerarchie ecclesiastiche. «Ve lo immaginate Ruini che sbarra la strada ad Andreotti?». Qualcuno scommette che l'indicazione di voto alla fine ci sarà, ma per far superare a Democrazia europea il 4 per cento. «Su cinque elettori, ne toglieremo uno e mezzo al centrosinistra, uno al non voto, due e mezzo al centrodestra», dice un colonnello andreottiano. Se fosse così, l'effetto Giulio provocherebbe davvero un terremoto.

 
 

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