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  LA STAMPA - 17 Mag 2001
IL CONFLITTO SALARIALE ATTENDE IL GOVERNO

di MARIO DEAGLIO

Torna l'inflazione
 
Il nuovo governo non è ancora stato nominato e già il suo tavolo di lavoro è ingombro di problemi. Per quanto largamente previsti, i dati sull’inflazione richiedono non già allarme, il che sarebbe francamente troppo, ma quanto meno un’attenzione maggiore di quella che era ragionevole riservar loro finora.
 
I rialzi dei mesi scorsi erano infatti attribuibili a cause precise e localizzate, quali l’aumento dei prezzi mondiali del petrolio, la psicosi di "mucca pazza" - che dirottò gran parte del consumo di carne bovina verso altri alimenti facendo lievitare il prezzo di questi ultimi - e persino i prezzi delle polizze assicurative (la cui rilevazione spesso trascura gli sconti applicati al momento della firma del contratto).
 
Ora, invece, non solo in Italia ma anche nel resto dell’Unione Europea l’aumento dei prezzi non sembra derivare da motivi specifici così facilmente definibili. Il che fa nascere il sospetto che, seppure in piccolissima misura, il virus dell’inflazione possa essere penetrato nel circuito economico generale. Per neutralizzarlo servono a poco le riduzioni del costo del denaro.
 
La rigidità dei mercati europei e in particolare italiani, come quella delle cosiddette "libere" professioni, nelle quali è sempre più difficile entrare e quella del lavoro dipendente "tipico", dal quale è difficilissimo far uscire i lavoratori obiettivamente eccedenti, spiegano perché, pur esistendo ancora una "sacca" di disoccupazione variabile prossima al 10 per cento della forza lavoro, le tensioni salariali comincino a farsi sentire nello scontro sui rinnovi contrattuali.
 
Se i contratti non si concluderanno nelle prossime settimane, il che sarebbe miracoloso, dati gli attuali rapporti tra le parti, il nuovo governo non potrà non occuparsi della questione. Il futuro ministro del Lavoro si troverà quindi in prima linea; il sindacato non ha torto, quanto meno da un punto di vista formale, a richiedere un recupero dell’inflazione in eccesso di quella programmata, ma deve obiettivamente riconoscere che, se non accompagnato da apposite riforme della struttura salariale, questo recupero di per sé avrebbe dannosissime ripercussioni sull’inflazione e sull’occupazione futura.
 
Per questi motivi, la forza innovativa del nuovo esecutivo non si misurerà sull’abolizione dell’imposta di successione - di importanza soprattutto simbolica, dato il suo scarso gettito - ma sulla sua capacità di governare questo conflitto e di ridurre le rigidità dei meccanismi salariali. Il problema, peraltro, non è solo italiano: l’hanno anche il cancelliere tedesco Schroeder e i primi ministri olandese, spagnolo e portoghese. Un male comune, dunque, che però non porta affatto, come vorrebbe il proverbio, un mezzo gaudio.

 
 

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