Stampa del 04-01-2000
Caso Previti - Pignorato stipendio a un giornalista
ROMA
Il Tribunale civile di Roma ha ordinato il pignoramento dello
stipendio per il giornalista di «Repubblica» Marco Travaglio, condannato a pagare 80
milioni a Cesare Previti per una richiesta di danni per diffamazione. Per Paolo Serventi
Longhi, segretario della Fnsi, «la vicenda ripropone la drammatica situazione di decine e
decine di giornalisti denunciati in sede civile per diffamazione e spesso non
tutelati dalle loro stesse aziende editoriali: nel caso di Travaglio
l'''Indipendente'' cessò poco dopo le pubblicazioni». Il sindacato dei giornalisti
«ritiene indispensabile un confronto in tempi rapidissimi» con il ministro Oliviero
Diliberto. «Una stampa veramente libera e responsabile - continua Serventi Longhi -
ha bisogno di una legislazione che cessi di essere intimidatoria; una buona base di
discussione è rappresentata dalla proposta del presidente della Camera Luciano Violante,
condivisa dallo stesso Diliberto, di considerare punibile il giornalista solo nei casi di
un rifiuto di pubblicazione di rettifiche o smentite. Una proposta purtroppo finora
lasciata cadere e che deve essere ripresa al più presto». Sull'argomento è
intervenuta anche l'Associazione Stampa Subalpina, ricordando come il
provvedimento«evidenzia la drammatica situazione di numerosi giornalisti che,
denunciati in sede civile per diffamazione, si trovano costretti a svolgere il loro
lavoro con forti condizionamenti della libertà di stampa e del diritto di cronaca».
Repubblica del 04-01-2000
Pagina 18 Previti fa pignorare lo stipendio di un giornalista - La causa con Marco Travaglio
di MARCO TRAVAGLIO
Marco Travaglio, giornalista di Repubblica, ha ricevuto un atto di pignoramento del suo stipendio dal Tribunale civile di Roma, che l'ha condannato in primo grado a pagare 79 milioni a Cesare Previti per un articolo del ' 95 sull'Indipendente. "La vicenda - dice Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi - ripropone la drammatica situazione di decine di giornalisti denunciati in sede civile e spesso non tutelati dagli editori. Per Travaglio, l' Indipendente cessò le pubblicazioni poco dopo". Serventi chiede un incontro urgente con il ministro Diliberto per "una legislazione meno intimidatoria", e invita gli editori ad adoperarsi "per stipulare polizze assicurative per giornalisti".
DI CHE cosa sono colpevole? Di aver gravemente diffamato
Previti, scrivendo la pura e semplice verità: cioè che l'indagato Previti
era indagato. Il 24 novembre '95 esce sull' "Indipendente" un mio articolo
sui rapporti e le amicizie di Craxi e Berlusconi negli anni 80. Previti compare una
sola volta, in una lista di amici dei due amici, "futuri clienti di procure e
tribunali". In quel momento, infatti, come scrivono tutti i giornali, Previti
è sotto inchiesta a Brescia per il presunto complotto anti-Di Pietro. Mi cita in
giudizio nel gennaio '96. Non una querela per diffamazione con ampia facoltà di prova, ma
una bella causa civile, cioè un processo dove non esiste accertamento della
verità, né sospensione dell'esecutività della sentenze fino al terzo grado, né
"giusto processo".
In caso di condanna, prima paghi, poi eventualmente fai appello e recuperi. In più, per
ragioni lunghe da spiegare, non vengono prodotti né la rassegna stampa che avevo
predisposto (Cesare Previti nel frattempo viene rinviato a giudizio, processato e
assolto a Brescia), né il registro degli indagati dove il suo nome era iscritto dal 29
settembre '95. Risultato: il giudice, il 30 giugno, mi condanna. Motivazione:
"Il contenuto diffamatorio si ravvisa... nell'aver accostato l'attore (Previti)
a una serie di personaggi colpevoli di aver tenuto condotte gravemente criminose... e
nell'averlo qualificato "futuro cliente di procure e tribunali". Ciò in
un periodo in cui nessuna indagine era stata aperta nei confronti dell'on.
Previti... Non può conseguentemente essere invocata l'esimente del diritto di
cronaca".
La sentenza arriva per Natale, in busta verde, unita all'"atto di precetto" con
cui Previti mi invita gentilmente a scucire i 79 milioni e rotti entro dieci giorni.
Da un fulmineo controllo, scopro che quando uscì l'articolo l' "attore"
era pure indagato a Milano (dal 6 settembre '95, per le accuse della Ariosto sulle
tangenti ai giudici). Oggi, poi, è cliente anche delle Procure di Roma e Perugia.
E al danno si aggiunge la beffa: su suggerimento di Giuliano Ferrara, Previti mi
offre uno sconto di 30 milioni, a patto che io "faccia pubblica ammenda".
Per aver scritto la verità? Faccio appello, non ammenda. E spero che, intanto, il
Tribunale sospenda l'esecutorietà della sentenza. Nell'attesa comincio a pagargli il
vitalizio: un pezzo di stipendio al mese