Giornale del 10-05-2000

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Ma giustizia non e' fatta

L'assoluzione di Silvio Berlusconi e' arrivata cinque anni e mezzo dopo l' <<avviso di garanzia,> che volle screditarlo e umiliarlo mentre come presidente del Consig;io, presiedeva a Napoli un importante convegno internazionale. Giustizia e' stata fatta, ma con quanto ritardo. E' stata fatta dopo una lunga e tormentosa stagione - purtroppo non definitivamente conclusa, ci vorra' ancora qualche tempo - di notizie calunniose, d'attacchi forsennati, d'infamie mirate.

Preso quell'avvio spettacolare e provocatorio, l'offensiva non ebbe piu' soste, in un intreccio perverso tra cio' che avveniva - e si voleva che avvenisse - nelle aule dove la legge dovrebbe essere uguale per tutti, e cio' che avveniva nelle sedi deputate al confronto politico. L'offensiva aveva i suoi strateghi ideologici, i suoi megafoni giornalistici, i suoi fiancheggiatori della cosiddetta intellighenzia, sempre intelligentissima nello schierarsi con il potere. Aveva soprattutto i suoi panzer togati che, in un Paese infestato da ogni sorta di criminalita', ponevano ogni impegno nello sparare ad alzo zero, tra gli osanna di aedi ispirati, contro un unico obbiettivo <<eccellente>>, Silvio Berlusconi.

La Corte d'appello di Milano ha dimostrato che i cannoni della cui potenza s'e' fatto spreco erano caricati a salve. Questo rasserena sicuramente sia Berlusconi sia gli italiani che hanno avuto e hanno fiducia in lui. Ma non basta per far dimenticare la gravita' della ferita che e' stata inferta alle istituzioni, e per risarcirne non diciamo il Cavaliere ma l'Italia. Abbiamo assistito, in cinque anni abbondanti di veleni, al tentativo di demonizzare, insieme con Berlusconi, i milioni di cittadini che lo votavano. Il tentativo e' fallito. Era del resto gia' fallito nella coscienza popolare, capace istintivamente d'avvertire la strumentalita' torbida di tanto accanimento, prima che i giudici l'affossassero. Il Cavaliere che promette un nuovo corso per questo Paese governato da una maggioranza - si fa per dire - avida di poltrone e priva di progetti ha ottenuto nelle Regionali del 16 aprile un autentico plebiscito.

Ma guardiamoci dalle illusioni: sara' tentato l'impossibile per tenere in piedi qualche castello di carta accusatorio a suo carico. Il proscioglimento del Cavaliere e' coinciso con due avvenimenti significativi. Il primo e' l'ingresso a Palazzo Chigi di Giuliano Amato, braccio destro di Craxi finche' la stella di Craxi duro'. Gia' legati a doppio filo, i due non avrebbero potuto avere sorte piu' diversa.

Non mi riferisco soltanto alla malattia che ha ucciso Bettino, ma alle sue vicende d'imputato, di condannato, di vituperato campione delle nequizie di Tangentopoli mentre Amato galleggiava in un limbo benevolo, prima di riconquistare - ossequiato dal centrosinistra con l'eccezione di Antonio Di Pietro - i galloni di primo ministro. Il contrasto stridente attesta le necessita' d'una rivisitazione di quel fenomeno che prese appunto il nome di Tangentopoli: e che con una sua logica immorale e illegale, ma praticata in ogni partito, ha dominato la vita pubblica italiana.

La corruzione sistematica ed endemica doveva essere affrontata come vanno affrontati i fenomeni di massa caratterizzanti un'epoca storica, ossia con misure di carattere generale, e non con il metro selettivo (e nell'occasione politicamente mirato) della giustizia ordinaria: una giustizia che, trincerandosi dietro la fantomatica obbligatorieta' dell'azione penale, concedeva agli inquirenti una discrezionalita' non responsabile, ossia una discrezionalita' per la quale non erano tenuti a fornire spiegazioni.

L'incongruita' di questo metro la vediamo nella tomba di Hammamet del segretario socialista e nei fastigi governativi del suo piu' stretto collaboratore. Il secondo avvenimento e' l'esodo - o la speranza di esodo - dei Pm dalla Procura di Milano. A spingerli verso altre sedi sono di certo anche ambizioni personali, e la fretta d'assicurarsi un posto gradito prima che l'eventuale approvazione del referendum sulla separazione delle carriere impedisca queste trasmigrazioni. Ma ho la convinzione che alla radice del fuggi-fuggi vi sia soprattutto la consapevolezza che l'era dei pool onnipotenti e carismatici e' finita, che i <<divi>> non sono piu' di moda, che ai Pm si chiede di svolgere un duro e anonimo lavoro e non d'illuminarsi d'incenso vagabondando da convegno a convegno, e dettando a penne compiacenti i loro sommi pensieri.

Assolto Andreotti, assolto Berlusconi (e criticato Caselli per gli esiti non esaltanti della sua azione come direttore delle carceri) vengono spenti i riflettori della televisione mentre i riflettori della legge sono nuovamente puntati sul disastro della quotidianita' minuta. I magistrati giudicanti ricominciano, dopo una fase di vassallaggio reverenziale, a prendere le distanze dalle Procure. Lo si e' visto a Palermo con Ingargiola, lo si e' visto a Milano con la Corte d'appello presieduta da Francesco Nese.

E' buon segno, una separazione delle decisioni - per correggere quelle sbagliate - se non ancora delle carriere. Ci vuole un altro passo. Ci vuole un divorzio chiaro e onesto tra la politica e la giustizia, ci vuole la rinuncia definitiva della politica a usare l'arma della giustizia contro gli avversari, e a mobilitare i <<palazzacci>> in aiuto del Palazzo. Il terreno su cui si deve combattere la battaglia e' il Paese, non il codice penale. Sono, queste, verita' elementari, troppo e per troppo tempo dimenticate. Riportiamole all'onor del mondo.

Mario Cervi

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Il Pool condannato con 6 anni di ritardo.

Paolo Guzzanti

Quando l'ho chiamato ad Arcore per conoscere le sue reazioni, immaginavo di ascoltare la voce di un Berlusconi raggiante, magari aggressivo. Invece viene al telefono un uomo che sembra bastonato. Gli dico, be', signor presidente, e' una bella soddisfazione, immagino, vedersi finalmente assolto per la stessa roba per cui fu messo alla gogna a Napoli, quando era primo ministro.

La risposta e': <<Dovrei essere contento? E di che cosa? Di veder riconosciuta la mia innocenza dopo tante sofferenze? E chi ripaghera' quello che ha passato mia madre? E mia moglie? Hanno gettato tonnellate di fango sulla mia immagine all'Italia e all'estero. Chi potra' mai cancellare i danni provocati al mio movimento, alla coalizione di centrodestra e al Paese? E chi mi restituira' la vita perduta pe r settanta inutili udienze, per non parlare dei soldi gettati al vento, chi?, me lo dica lei. Non so che dire>>.

Mi sembra comunque una vittoria, osservo: un momento per lei importante. E Berlusconi: <<Quello che rappresenta per me e per la mia famiglia, lo tengo per me. Sono cose private e talmente dolorose che oggi, di fronte a questa vittoria, non riesco aprovare ancora una vera gioia ma soltanto un senso di perdita e di malessere. Ma voglio dire una cosa: queste accuse ingiuste per le quali sono stato adesso assolto, anche se in tre casi e' stata usata la formula della prescrizione per non creare troppi problemi ai procuratori, non hanno soltanto cambiato la mia vita e quella dei miei cari, che sono l'aspetto privato della vicenda. No, hanno cambiato la vita del Paese, hanno cambiato la nostra storia>>.

Osservo che mi sembra un po' esagerato e il presidente di Forza Italia spiega <<Ho parlato a lungo con Umberto Bossi, che e' una persona schietta e onesta. E lui mi ha spiegato in maniera molto personale, molto umana, l'effetto che quelle accuse contro di me, lanciate poi in modo cosi' teatrale, cosi' plateale, cosi' scandaloso, davanti alla platea di tutto il mondo che aveva gli occhi puntati al summit di Napoli contro la criminalita', hanno avuto su di lui. In breve, lui si fece convincere da D'Alema a fare il famoso ribaltone che provoco' la caduta del mio governo e che modifico' la storia d'ltalia, proprio grazie a quelle accuse che oggi sono riconosciute  inconsistenti o false.

Capisce che cosa significa? Che senza quei procedimenti, oggi finiti nel cestino, non ci sarebbe stato quel che invece c'e stato. Cio' dimostra che siam stati costretti all'opposizione con l'uso di mezzi impropri, cio' dimostra che il mandato degli elettori e' stato tradito anche grazie a queste costruzioni giudiziarie. Ecco perche' oggi io non riesco a essere contento. Non ho alcun motivo per brindare. Non provo alcuna soddisfazione. Quel che e' accaduto a me, in realta', e' accaduto agli elettori italiani, al sovrano della democrazia che e' il popolo degli elettori. Noi oggi non celebriamo una vittoria: celebriamo il riconoscimento tardivo di un vulnus, di una ferita aperta>>.

Ci sara' pure, insisto, del buono nel riconoscimento di come andarono le cose. Meglio tardi che mai, in fin dei conti. Il mio interlocutore dice soltanto: <<Cio' che conta e' che questa sentenza mostri in qual modo il pool di Milano, con i suoi atti giudiziari, abbia fatto politica, come sia intervenuto sul corso della nostra democrazia e con quali effetti. Questo, mi pare, e' sotto gli occhi di tutti>>. La nostra conversazione finisce qui. E devo dire che lo stato d'animo, il mood di Berlusconi finisce col contagiarmi un po'. Se devo usare me stesso come cavia per immaginare come si sentono anche gli altri, direi che la giornata di ieri, anche se ha visto riparare uin torto, non e' stata una giornata di festa. O meglio: e' sempre meglio quando la giustizia vince e la giustizia vince semplicemente quando una sentenza e' giusta e sorretta da prove, quando l'accusa e' documentata e ragionevole, quando non esiste il sospetto che dietro l'atto di giustizia ci sia dell'altro e che quell'<<altro>> consista nel desiderio di derag]iare il corso della democrazia per deviarne il corso nella direzione desiderata da un'aristocrazia di uomini cinici, pronti al sopruso.

Dunque, cosi' andarono le cose: un governo repubblicano pienamente legittimo fu messo in crisi e l'alleanza che lo sosteneva fu minata alla base, in modo che uno degli alleati, in quel caso la Lega di Bossi, si sentisse a disagio, rendendosi disponibile per altre operazioni. E quel governo repubblicano fu il primo governo liberale che gli italiani avessero osato eleggere dopo decenni d'egemonia di sinistra. Ma non basta. La storia ormai la conosciamo bene: l'accoppiata formata da una parte della politica ed a una parte di quei dipendenti statali che per concorso vinto reggono l'ufficio della pubblica accusa, ha agito come agisce la coppia dei vettori in fisica: con un effetto torcente, rotante, ribaltante, quello appunto del ribaltone e dell'azzeramento della volonta' popolare.

Al governo Berlusconi, assassinato con un avviso di garanzia, segui' un governo Dini indicato dallo stesso Berlusconi come governo di garanzia e di transizione in attesa di un chiarimento e di una vittoria del vero sul falso che non arrivo' mai. Il presidente della Repubblica Scalfaro fece credere a Berlusconi che sarebbe tornato a occupare la sua legittima posizione a Palazzo Chigi, cosa che si guardo' bene dal fare. Le successive elezioni dimostrarono che la maggioranza degli italiani era ancora per il centrodestra, ma il gioco di prestigio delle desistenze porto' egualmente allavittoria la coalizione che aveva come leader Romano Prodi.

Non ripetero' perl'ennesima volta come e perche' fu fatto cadere Romano Prodi per far posto a D'Alema,il qua le non fu mai eletto come leader di una coalizione e che si servi' in Parlamento di una maggioranza a noleggio. Da allora, per due volte gli italiani sono stati chiamati alle urne: per le Europee del '99 e per le Regionali dello scorso 16 aprile. Entrambe le volte la maggioranza dei votanti ha confermato il voto del 1994 e quello del '96 in cui furono determinanti desistenze e annullamenti.

Gli italiani votano, ma il loro voto non conta nulla, questo e' il risultato finale dell'operazione magistralmente condotta dalle forze della reazione e della conservazione (di se stessi). Gli italiani votano e se per disgrazia il loro voto porta a Palazzo Chigi l'uomo che guida la maggiorarnza da loro eletta, quell'uomo diventa il bersaglio per un tiro al piccione che non conosce soste. L'aggressione giudiziaria nei confronti di Berlusconi dal giorno in cui ha annunciato la sua famosa discesa in campo, e' talmente plateale, talmente evidente e grossolana, da sembrare ridicola, ridondante, tutto sommato stupida.

Ma invece non e' stupida. E' geniale. Grazie all'attacco ai fianchi del loro nemico politico, gli avversari della democrazia rappresentativa ottengono il risultato di una continua esposizione della loro vittima sotto i riflettori di nuove e continue accuse, cosi' da produrre l'effetto di una caccia alla volpe in un circuito perverso in cui la verita' e' sempre in ritardo sugli effetti che l'artifizio o la menzogna hanno provocato.

Nel caso di Silvio Berlusconi siamo alla quarta assoluzione consecutiva in appe'llo, dopo quattro lunghi calvari in cui nulla e' stato risparmiato per aizzare le mute e mettere in pessima luce il bersaglio. Uno degli effetti tutt'altro che secondari di questa strategia e' il deliberato logoramento e danneggiamento dell'immagine del candidato premier del centrodestra di fronte al'opinione pubblica straniera. I giornali europei, americani, canadesi, asiatici, danno in modo scarno e irriverente notizie sulle presunte malefatte del tremendo capitalista italiano e, udite udite, proprietario di giornali e televisioni.

Questo scandalismo sulla persona serve per mantenere acceso un rogo a fiamma perenne con cui l'immagine del leader viene perennemente arrostita e gli stessi giornalisti stranieri che scrivono dall'ltalia le loro corrispondenze sono curati con attenzione dai loro colleghi italiani appartenenti a testate una volta prestigiose, col risultato di un'infomnazione estera teleguidata, conformista, piatta e colpevolista, che alimenta cosi' in maniera artificiale, corretta e corrotta, uno stato d'animo che serve ai governi di centrosinistra europei a consolidare quell'operazione cordone-sanitario che gia' abbiamo visto all'opera quando Berlusconi ha annunciato la sua alleanza con la Lega di Bossi in vista delle regionali e quasi certamente anche per le prossime politiche.

Il caso di Bossi e' istruttivo ed esemplare e ci siamo gia' diffusi nei giorni scorsi sul modello astutamente ondivago su cui si muove la delicata etica del centrosinistra: il leader della Lega e' buono, un sincero democratico e un solido antifascista quando mangia le sardine con D'Alema (fu il cibo che Bossi tiro' fuori dal frigo insieme con pane rinsecchito e burro un po' andato, quando ospito' il segretario Pds che lo incitava al ribaltone), ma diventa una controfigura di Haider quando si allea con il centrodestra.

Tutte queste strategie, che abbiamo spesso e diffusamente illustrato, non sarebbero mai state possibili se dietro i loro meccanismi non ce ne fosse stato un altro di macchinario funzionante e determinante per far andare a regime tutti gli altri: quello messo in piedi da una parte ristretta della magistratura d'accusa che nel momento in cui a colpi di atti giudiziari si demolivano i partiti storici della cosiddetta prima Repubbtica (tranne, ma guarda un po' che combinazione, il Partito comunista italiano, autoassolto con una preventiva amnistia), dichiarava di fatto il Pariamento <<sede vacante>> e assumeva responsabilita' che non le competevano, destabilizzando la politica, surrogando la democrazia e di fatto impedendo all'opposizione di raccogliere il premio della fiducia dei cittadini, da convertire in responsabilita' di governo.

Il risultato e' quello che abbiamo sotto gli occhi: Silvio Berlusconi assolto oggi dalle accuse che lo fecero cadere ieri, e' oggi al governo un presidente del Consiglio che non e' mai stato eletto dai cittadini, con una maggioranza politica che e' stata espressamente bocciata dai cittadini.

Il cerchio cosi' si chiude, ma si chiude con una distorsione a tenaglia : l'uomo che avrebbe dovuto governare dopo aver riscosso la fiducia degli elettori e' costretto a commentare con amarezza la tardiva sentenza di assoluzione che arriva, come lui stesso dice <<dopo tonnellate e tonnellate di fango>>. Quel fango non ha macchiato soltanto le vesti civili del cittadino Berlusconi. Quel fango ha occluso il canale della democrazia, ha costituito una trombosi della politica, ha portato allo snaturamento del rapporto fra rappresentanti e rappresentati, che e' il cardine della democrazia stessa.

Paolo Guzzanti p.guzzanti@mclink it

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Un <<avviso>> a mezzo stampa con i complimenti dell'Unita'

Mario Giordano

Tecnicamente eversivo>>. Anzi, di piu': <<Sovversivo>>. Quando Silvio Berlusconi provo' a difendersi dicendo piu' o meno quello che ora dice la Corte d'appello, cioe' che la condanna per le tangenti alla Guardia di finanza non stava ne' in cielo ne' in terra, subito si levo' il solito coro delle voci imbiancate per tappargli la bocca: stai zitto, che altrimenti <<rovini il clima politico del Paese>>.

Non sia mai detto: piuttosto, e' meglio rovinare la vita di una persona, oppure rovinare una coalizione che rappresenta mezza Italia o rovinare anche un po' la verita', che tanto nei tribunali come si sa e' merce di ripiego. Ma il <<clima politico>>, per carita', quello no: c'e' l'Ulivo al governo, di che vi lamentate? Tacete ed esultate, anche se condannano innocenti.

E l'incandescente luglio 1998. <<La democrazia e' in pericolo>> tuona Edmondo Bruti Liberati, magistrato dalla consueta e rassicurante pacatezza giudizi. <<Rottura istituzionale strilla Fabietto Mussi, uno che di rotture se ne intende come nessun altro al mondo. Qual e' la preoccupazione? Un tribunale che condanna il capo dell'opposizione? Ma no: l'unica cosa che preoccupa i paladini della democrazia e' che il capo dell'opposizione non accetti di farsi silenziosamente massacrare.

<<Fermare il processo ai giudici>>, editorialeggia Repubblica. E intanto schiere di giorgibocca e curzimaltese intingono la penna nella rovinata bile per dire che, insomma, che ha da lamentarsi il Cavaliere? In fondo <<il Pool di Milano non l'ha processato per stupro e omicidio>>. Non ancora, almeno. Che delusione: dovrebbero lamentarsi loro, piuttosto, per la clamorosa defaillance.

Il tritacarne della sinistra di lotta e di macello, del resto, era nel luglio '98 gia' assai rodato. Da quattro anni almeno: l'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza segna infatti l'ingresso di Berlusconi dentro le lame rotanti di Tangentopoli.

21 novembre '94: il leader di Forza Italia e' capo del governo e sta presiedendo a Napoli un vertice Onu sulla criminalita' organizzata. Gli arriva il noto avviso di garanzia a mezzo stampa e subito si scatena la gara del gufo: il piu' benevolo dei commentatori gli pronostica un immediato futuro da cadavere politico. Gli altri, invece, dimenticano l'aggettivo <<politico>>. La Repubblica, per esempio, vede direttamente il Cavaliere <<cancellato>>. L'Unita' scrive la <<cronaca di un fallimento>>. E, per questo fallimento, Andrea Barbato arriva a contare fino a 18 diverse e profonde ragioni, roba che nemmeno Napoleone a Waterloo riusci' ad accumularne tante. <<La deriva democratica>>, tuona subito Mario Pirani. <<Sulla pelle del Paese>>, aggiunge Giovanni Valentini. E Andrea Manzella, con un'insolita vena mistica, si mette a inneggiare agli <<angeli sopra Montecitorio>>.

Che si riferisse ai magistrati? Bocca come al solito ha capito tutto. Dopo aver sentenziato che chi vota Berlusconi premia <<piu' i suoi difetti che i suoi meriti>> (cosi', tanto per gradire), spiega l'errore fondamentale commesso dal leader del Polo: <<Fare di Forza Italia una zattera su cui salvare i craxiani>>. E dire che non aveva nemmeno preso Intini come sottosegretario. <<Tutta la giustizia minuto per minuto>>, s'esalta Curzio Maltese. <<Masaniello a Palazzo Chigi>>, dice Stefano Rodota', che come futuro garante della privacy dimostra un senso delI'equidistanza niente male. <<Come piange il coccodrillo>>, ridacchia Lietta Tornabuoni.

E anche Eugenio Scalfari sembra divertirsi un mondo rivolgendosi direttamente all'indagato:<<Lei e' dunque al di sopra della legge oltre che del sospetto?>>. La condanna naturalmente e' gia' scritta. C'e' solo un avviso di garanzia, ma che importa? Il Pool di Milano ha compilato ben <<cinque pagine di accuse>>, ci tranquillizza Susanna Ripamonti sull' Unita'. E cinque pagine non vi bastano? Ne volete forse alcune migliaia? Se fosse necessario, non ci sarebbe alcun problema: il processo Andreotti lo dimostra, meno prove si hanno, piu' accuse si trovano. Strano?

Ma no. E soprattutto, sia chiaro, <<none' un complotto, solo una coincidenza>> come spiega puntuale la giornalista straniera Tana de Zulueta che, appunto, di coincidenza in coincidenza diventera' parlamentare per l'Ulivo. All' Unita', intanto, ci si trincera dietro una libera riduzione dal New York Times per liberare il proprio entusiasmo: <<Uno spettacolo>>. Si, davvero uno spettacolo. Cui bisogna assistere muti e rassegnati come vuole la parola d'ordine lanciata sui quotidiani di sinistra: <<Vogliono distruggere la magistratura". Berlusconi prova a difendersi? <<Atteggiamento sedizioso>>, dice Stefano Rodota'.

Voglia di <<potere assoluto>>, chiosa Gianni Vattimo. C'e' <<il rischio di spaccare it Paese>>, aggiunge Alberto Leiss. Ma no (ci risiamo) non sia mai detto che si spacchi il Paese: piuttosto si spacchi la testa a Berlusconi. E se lui non se la vuol far spaccare <<si potrebbe pensare all'utilita' di un calmante>>, come spiega farmacologo e premuroso Mino Fuccillo su Repubblica. Fine della prima puntata.

Dal novembre '94 (avviso di garanzia) al luglio '98 (sentenza di primo grado), le bocche da fuoco della sinistra incoronata non fanno altro che allenarsi al tiro al berluscone. E cosi', in quella estate segaossa e tritatutto, sono prontissime a scattare come un sol uomo verso il bersaglio designato. <<La legge non e' uguale per tutti>>, scrive Eugenio Scalfari, che incomincia il suo editoriale cosi': <<Di tutto si puo' incolpare Silvio Berlusconi salvo di non aver preannunciato il suo atteggiamento eversivo>>. Giorgio Bocca come al solito ha la sentenza in tasca (ma come fa a essere sempre cosi' preparato?): Berlusconi e' colpevole di <<arroganza>> e <<disinvoltura>>, e ha diffuso <<la morate dell'immoralita'>>, <<la r egola della non regola>>, <<la giustizia dell'anarchia>>. E per non essere da meno un altro sereno magistrato (Vittorio Borraccetti) si fa intervistare dal sereno "manifesto" per spiegare serenamente che <<Berlusconi e' eversivo>>. E la presunzione di innocenza? Il diritto all'appello? La possibilita' di ricorrere in Cassazione? Stupidaggini, s'intende, per i principi del foro politico-giustizialista. Vattimo e' sicurissimo: Berlusconi <<ha commesso reati>> e infatti <<non lo nega>> (ma in che film l'ha visto?).

Maltese, al suo duecentesimo pezzo fotocopia, ancora si diverte (beato lui): l'unico modo che Berlusconi ha per salvarsi e' far <<riscrivere il codice a Gianni Pilo>> (ah ah). E la Lietta Tomabuoni, da signora qual e', attacca la sua rubrica in modo elegante: <<Naturalmente la questione della condanna di Silvio Berlusconi si puo' porre cosi': un uomo d'affari entrato in politica per proteggere il proprio patrimonio e per difendere se stesso da tribunali e detenzione, non arriva a evitare i procedimenti giudiziari, nonostante tutti gli accordi, proclami e compromessi politici messi in opera a questo scopo>>.

E come altro porla, se no? Berlusconi osa difendersi? Siamo alle solite: <<E' un gran bugiardo>> (Pietro Folena); vuole <<una democrazia di tipo colombiano venezuelano>> (Giorgio Bocca); <<Propaganda intimidatoria>> (Mino Fuccillo); <<II Paese corre qualche serio rischio>> (Ezio Mauro); <<Solo la pazienza infinita degli italiani puo' sopportarlo,>> (Lucio Villari). E' un sistema <<non piu' democratico>> come scrive Repubblica o semplicemente <<inquietante>> come dice Veltroni usando un aggettivo altamente autobiografico. Con soggetti cosi' colpevoli come il Cavaliere, s'intende, <<il dialogo e' impossibile>>.

Percio' <<torna a casa, Silvio>>, si scompone Vittorio Foa sull'Espresso, con un tono che persino lo stesso Lassie troverebbe un po' offensivo. Il concetto e' chiaro: per chi nutre certezze cosi' incrollabili che cosa conta il diritto di ogni cittadino aveder riconosciuta la sua innocenza? Nulla, e' evidente. Sono altre le preoccupazioni: non <<indebolire la valenza del nostro ingresso in Europa>>, come afferma sempre nel luglio '98 Eugenio Scalfari, e soprattutto tranquillizzare quelli come Vattimo, che sono notevolmente <<innervositi dall'eccesso di stimoli>>, laddove gli stimoli sono da intendersi in primo luogo proprio le condanne a Berlusconi.

Ah, che brividi. Come non capirlo? In effetti anche la troppa gioia fa male. Lo si vede oggi: basta un briciolo di verita', e dive nta subito indigesta.

Mario Giordano

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Quando le bugie diventano una seduzione irresistibile

Paolo Cirino Pomicino.

Caro direttore,

se le bugie hanno le gambe corte, Giuliano Amato e' addirittura focomelico. Ho letto sulla Stampa di Torino un suo saggio che sarebbe stato gia' pubblicato sui <<Quaderni costituzionali), nel dicembre 1994. All'epoca questo saggio mi sfuggi' e leggendolo oggi altro non posso fare chc riconfermare un giudizio molto forte che in questi anni ho maturato nei riguardi dell'attuale presidente del Consiglio e cioe' che e' un uomo per i quale la bugia e' una seduzione irresistibile.

Cio' che dico naturalmente, lo dico con amarezza perche' ho lavorato per lungo tempo con Giuliano Amato ricevendone e ricambiandogli stima, amicizia e apprezzamento, anche negli ultimi tempi quando ero gia' stato travolto da accuse false e puntualmente cadute davanti ai tribunali di mezza Italia. Detto questo, pero', non e' piu' possibile essere complice di un'ipocrisia di regime che ha gia' fatto molti danni al Paese.

Tra l'amicizia e la verita', scelgo, dunque, la seconda. E vengo al punto. In questo saggio pubblicato quasi clandestinamente nel 1994 e oggi rilanciato da un grande quotidiano, Giuliano Amato si accredita il merito di aver rotto, con il suo governo del giugno 1992, una prassi antica, quella cioe' che i nomi dei ministri venivano dati dai partiti e non scelti in piena autonomia dal presidente del Consiglio in base all'articolo 92 della Costituzione. A testimonianza di questo suo presunto merito Amato racconta di aver sostituito alcuni nomi dei ministri dati dai partiti con altri scelti personalmente sulla base di valutazioni autonome.

Tra questi nomi, sostituiti secondo quanto lo stesso Amato fa dire all'articolista Magri, ci sarebbero quelli di Carlo Bernini, Gianni Prandini e il mio. Bugie grandi come una casa. Prandini e Bernini, infatti, non furono per nulla proposti dalla Dc perche' gli stessi, in una riunione della propria componente, furono impegnati in ruoli di partito, mentre il mio nome fu, invece, effettivamente fatto dalla segreteria del partito come era prassi all'epoca e come continua a essere praticato ancora oggi (il rapporto partiti-governo richiederebbe un discorso lungo che per ragioni di spazio dobbiamo rinviare).

Sul mio nome Giuliano Amato non solo non ebbe nulla da ridire (peraltro il primo avviso di garanzia lo ebbi solo 8 mesi dopo) ma, anzi, mi chiamo' dicendomi che sarei andato al ministero del Lavoro, la frontiera piu' calda di quel periodo perche', subito dopo l'abolizione della scala mobile guidata dal sottoscritto nel dicembre '91, si sarebhe dovuto puntare a un accordo forte e ampio con le parti sociali. Non a caso Giuliano Amato mi inseri' nella lista dei ministri che sottopose a Oscar Luigi Scalfaro che in quella occasione, pero', si vendico' della mia lunga opposizione alla sua elezione a capo dello Stato depennandomi. Anzi, secondo le proprie pessime abitudini, Amato ne' mi difese, pur avendomi proposto, ne' mi depenno' e disse al capo dello Stato che il titolare di quel posto non era ne' lui ne' il segretario della Dc ma un autorevole capo corrente Giulio Andreotti. Oscar Luigi Scalfaro telefono' subito ad Andreotti nel cui studio a Palazzo Chigi io mi trovavo e ascoltai a viva voce la lunga telefonata.

I particolari di quella assurda telefonata i lettori potranno leggerli nel mio libro che uscira' il 23 maggio prossimo nel quale i parlamentari della Repubblica forse troveranno documentati elementi attinenti ad altre questioni per le quali si potra' finalmente aprire un caso Amato. Per oggi e' sufflciente ricordare che dopo quella telefonata Amato aspetto' le decisioni di Andreotti che, assieme a me, decise di promuovere ministro Claudio Vitalone mandandolo al Commercio estero e trasferendo Cristofori al mio posto al ministero del Lavoro. Insomma un andreottiano politicamente non inviso al capo dello Stato al posto di un altro andreottiano reo di aver osteggiato Scalfaro nell'elezione a presidente della Repubblica. Altro che' discontinuita' con i partiti. Quell'episodio dimostro' che Amato non solo, come era doveroso, voleva concordare i nomi con le segreterie dei partiti, ma addirittura li decise con i capicorrente.

Quando Amato giunse a Palazzo Chigi per prendere le consegne da Andreotti trovo' anche me e prendendomi per mani si scuso' per non aver potuto superare l'ostracismo di Scalfaro dicendosi amareggiato per non potersi avvalere di un'esperienza come la mia a suo dire preziosa nel rapporto con il Parlamento e con i sindacati.

Le bugie raccontate in quel saggio, naturalmente, continuano anche per quanto riguarda la trasformazione in societa' per azioni degli enti pubblici economici. Su diktat di Craxi Giuliano Amato, infatti, ingoio' letteralmente la parte nuova di quel decreto che trasformava l'Iri e l'Eni in due superholding dentro le quali confluivano tutte le varie societa' pubbliche come l'Enel, l'Imi e l'Ina e lascio' la sola trasformazione in spa dell'Iri, dell'Eni e dell'Enel alla cui guida i partiti continuarono a indicare i nomi (i democristiani Nobili e Viezzoli e il socialista Cagliari). L'unica novita' fu la promozione ad amministratore delegato dell'Eni di Franco Bernabe', il vero amico del cuore, e non solo del cuore, di Giuliano Amato il quale subito dopo ricopri' un ruolo fondamentale nel massacro di Bettino Craxi.

Di questo e di altri inediti episodi si potra' abbondantemente leggere nel mio libro di prossima pubblicazione.

Paolo Cirino Pomicino

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Finanza, Berlusconi assolto 6 anni dopo l'avviso di garanzia

GIANLUIGI NUZZI

Per il Cavaliere quarta sentenza favorevole su quattro processi d'appello <<non ci fu corruzione>>Prescritti altri tre reati Il legale: non ci basta

Milano

Ennio Amodio fa due passetti spediti, sottobraccio al professor Giuseppe De Luca, occhi lucidi, gessato scuro: <<Ecco, si', adesso dobbiamo telefonare>>.

Il difensore di Silvio Berlusconi apre la microscopica agendina color amaranto, lettera B, seconda pagina: <<Presidente, sono io, l'hanno assolta...>>.

Come raccontarla a Berlusconi quest'assoluzione pilatesca? Arriva dopo 103 udienze tra primo e secondo grado, la ghigliottina politica dell'invito a comparire recapitato a Napoli, la deposizione in Procura, l'interrogatorio di un presidente del Consiglio in carica, da indagato.

Caso unico della storia repubblicana. Sullo sfondo, le telefonate inquiete tra Oscar Luigi Scalfaro e l'allora procuratore Borrelli. Alla vigilia Berlusconi, come sempre, non aveva fatto pronostici. Radio tribunale lo dava assolto da giorni. Non tanto per indiscrezioni trapelate da una Corte impenetrabile, quanto per quell'inconsistenza demoniaca di responsabilita' dirette del leader del Polo.

Berlusconi apprende dallo studio di Arcore di quest'assoluzione pilatesca che spazza via la condanna di primo grado a 2 anni e 9 mesi. Prescrizione per tre capi d'imputazione. Assoluzione per non aver saputo nulla di quei 50 milioni promessi (25 i versati) nella verifica a Telepiu'. La formula e' la vecchia insufficienza di prove.

Gia', la televisione a pagamento: l'ufficiale Francesco Nanocchio confesso', al sesto interrogatorio, di aver ricevuto soldi per quei controlli dal maresciallo Giuseppe Capone. Ma questi lo smenti' sempre, forte della sponda che gli arrivava da un collega: quei 25 milioni a Nanocchio? Arrivavano da altre verifiche. Insomma, nemmeno una chiamata di correo per Berlusconi.

Eppure il teorema che lui <<non poteva non sapere>> e che <<sapeva di sapere>> si e' trascinato boccheggiando per sei anni. Solo ieri non ha retto al fuoco logico dei difensori. <<L'autorizzazione generalizzata>> nel codice non esiste. I giudici della seconda sezione riducono le altre condanne: a Capone e al dirigente Fininvest Salvatore Sciascia due anni, a Nanocchio un anno, 5 mesi e 20 giorni, all'onorevole Massimo Maria Berruti 8 mesi. Prescrizione anche per Alfredo Zuccotti e per Giovanni Arces.

Ora, si dira' che e' stato assolto con l'ormai abbandonata formula dell'insuffficienza di prove. Si dira' che tre verifiche sono cadute in prescrizione, anche se la Corte non e' entrata nel merito. Il tutto per raddrizzare questa <<vittoria di Berlusconi e mezza sconfitta del Pool>> come dice Amodio. E, in fondo, proprio Amodio i ndividua una ragione di questa scelta della Corte: <<Era difficile per i giudici, in un processo denso di polemiche e contenuti politici, pronunciare una sentenza che suonasse come una sconfitta per il Pool>>.

Per questo Berlusconi al telefono con Amodio sussurra che <<questa sentenza non mi da' pienamente giustizia, non mi ripaga di tutto quello che ho sofferto>>. Da qui, l'annuncio del ricorso in Cassazione per togliere <<quest'ultima piccola macchia>>, dopo aver passato senza un graffio i quattro processi celebrati in appello.

<<Non si e' voluti entrare - conclude Amodio - in rotta di collisione col Pool. Una sentenza a cavallo tra il furore giudiziario degli anni '90 e l'attuale serenita' che caratterizza questi nuovi interventi delle Corti d'appello. La Procura di Milano, per parafrasare una famosa espressione, aveva rivoltato la Fininvest come un calzino: cosa ha trovato? Niente piu' di quello che fisiologicamente c'e' in ogni grande impresa>>.

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Cosi' crolla il <<non poteva non sapere>>

FILIPPO FACCI

Teoremi

L'accusa ha sempre sostenuto che il Cavaliere gestisse in prima persona ogni atto della Fininvest

Paradossi

La Procura non ha mai trovato una prova e molti testimoni hanno scagionato il leader del Polo

Si finga per un attimo che la politica non esista. Si provi a metterla su un piano nommale di giustizia normale, che possa un giorno riguardare - come del resto riguarda - le persone normali. Nel 1994, un corpulento accusatore chiese e ottenne l'arresto del signor Paolo Berlusconi.

La difesa dimostro' subito che l'arresto non sarebbe stato necessario, e infatti Paolo Berlusconi ammise immediatamente i fatti.  L'accusa disse che la Fininvest, in cui Paolo Berlusconi aveva un ruolo importante, aveva corrotto dei finanzieri. La difesa disse che i pagamenti vi erano stati, si', ma che trattavasi di concussioni e non di corruzioni perche' la Fininvest fu costretta a pagare. Ma l' accusa non credette a questa versione. E trovo' risibile che un'azienda di tante dimensioni potesse esser stata vessata da pochi finanzieri.

La difesa allora allego' fior di giurisprudenza, e non ultima giungera' una sentenza della Corte d'appello di Milano (27 gennaio 1998) che ribaltera' una condanna di primo grado e assolvera' una serie di stilisti imputati di corruzione analogamente a come lo era, fino a ieri, Silvio Berlusconi.  Ma non servi.

L'accusa contesto' il pagamento di alcune tangenti per verifiche su Videotime e Mondadori e Mediolanum e Telepiu'. Il signor Paolo Berlusconi, come detto, si assunse ogni responsabilita' per i primi tre casi, e disse: fui io ad autorizzare i pagamenti, sono stato io ad accordarmi con il finanziere Salvatore Sciascia circa i vari versamenti. Ma non gli credettero.

L'accusa, e la sentenza di condanna in primo grado, sanciranno ch'egli fosse solo il fantoccio del vero decisore: suo fratello Silvio Berlusconi. La sentenza del 7 luglio 1998 recitera' infatti: <<Il tribunale esclude che la responsabilita' della decisione di pagare sia stata di Paolo. Ritiene invece che proprio Silvio Berlusconi abbia gestito tali decisioni>>.

Esclude. Ritiene. La mia parola contro la tua. Come fu possibile? L'accusa sostenne che l'Edilnord di Paolo Berlusconi - la quale, secondo la difesa, aveva funto da serbatoio per i soldi pagati ai finanzieri - in realta' non aveva alcun fondo nero a cui attingere, insomma nessun serbatoio. Perche' in realta' quei soldi - dissero - li aveva tirati fuori Silvio Berlusconi da altri fondi neri di cui disponeva. La difesa allora porto' due testimoni che confermarono l'esistenza effettiva di questa giacenza Edilnord, ma furono oggettivamente ignorati. Non servi'.

L'accusa ribadi' che Silvio Berlusconi, e non Paolo, disponeva di questi fondi. La difesa allora fece presente che lo stesso tribunale di Milano, in una precedente sentenza sulla questione <<Medusa>> aveva stabilito che il denaro in questione, quello di Berlusconi, non apparteneva a fondi neri, ma al patrimonio personale del Cavaliere. Non servi neanche questo.

Il cosiddetto teorema dell'accusa - dicasi sillogismo, o per i maligni congettura - era ormai delineato, e la sentenza di primo grado lo recepira' pressoche' in fotocopia: Silvio Berlusconi - dissero era a perfetta conoscenza di ogni minimo rivolo economico del suo impero finanziario, e tutte le strade portavano (dovevano portare) a lui: perche' a lui facevano riferimento il contante e il presunto <<nero>> delle sue aziende: tutti aspetti, questi, dei quali il fratello era invece all'oscuro.

E non solo sapeva, Berlusconi: autorizzava implicitarnente. Quando? In che termini? <<Una volta per sempre>>. E quest'ultima non e' una semplificazione giornalistica, scrissero proprio cosi': <<L'autorizzazione fu accordata una volta per sempre, in considerazione dell'automatismo che caratterizzava le verifiche, le richieste, gli accordi e i pagamenti>>, recita la sentenza vergata dal giudice Francesca Manca.

La difesa cito' dei testimoni i quali dissero che Silvio Berlusconi si occupava solo di transazioni miliardarie, e non certo di operazioni da poche centinaia di milioni. Dissero, questi testimoni, che mai - non piu', da molti anni - il Cavaliere seguiva i rapporti con il fisco, e tantomeno seguiva l'amministrazione e la gestione corrente delle sue aziende. Niente da fare.

I testimoni ignorati furono parecchi. A qualcuno ando' anche peggio: Marinella Brambilla e Niccolo' Querci, a suo tempo assistenti di Berlusconi, furono inquisiti per falsa testimonianza. E non da soli. La difesa fece presente, a quel punto, che tutto si riduceva infine a una deduzione volontaria, che non c'era una prova che fosse una, che i pochi indizi erano fragili e scollegati, che non c'era una persona - neanche una - che chiamasse direttamente in causa Silvio Berlusconi, che altre viceversa lo scagionavano, che del prcsunto reato penale personale del Cavaliere non c'era un minimo supporto materiale, non un documento, una testimonianza diretta, una foto, un passaggio di denaro.

Ma la sentenza che dapprima condanno' Berlusconi, di questo, semplicemente, non si prese cura: <<L'autorizzazione non puo' che essere stata espressione della proprieta' e quindi di Silvio... non e' possibile ne' necessario accertare in maniera puntuale in quale giorno, in quale momento, in quale occasione, in quale modalita' e in quale contesto l'autorizzazione e la consegna del denaro si siano verificate>>. Non e' possibile ne' necessario, scrissero. Il cittadino Silvio Berlusconi fu dapprima condannato per cosiddetta prova logica: significa che i giudici colmarono delle lacune (molte lacune) con dei ragionamenti.

Dal loro punto divista, ragionamenti verosimili: ma tuttavia basati su fatti supposti e non provati. Unicamente in base a essi - in un Paese dalla giustizia normale, e non verosimile - semplicemente non andrebbe incriminato nessuno. Semplice e lineare.

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Procure in disarmo : deserto a Milano fuga di Pm a Palermo

Adalberto Falletta.

Luci spente negli uffici dei sostituti procuratori di Mani pulite. In Sicilia 21 pubblici ministeri su 66 hanno chiesto il trasferimento Si spengono le luci. Anzi, sono gia' spente. Alle cinque del pomeriggio, un'ora dopo che l'Ansa ha battuto la notizia dell 'assoluzione di Berlusconi, il corridoio della Procura, la fornace di Mani pulite, riposa nella penombra di una quiete ospedaliera.

Gli addetti alle pulizie trascinano i carrelli con i detersivi e svuotano i cesti dell'immondizia. In un pomeriggio cosi', bigio e piovoso, anche se siamo a maggio e allora era fine autunno, a un'ora cosi', su queste graniglie scure i sostituti procuratori Colombo e Greco fendevano la folla dei cronisti con enormi faldoni sotto il braccio. Elargivano sorrisi e ruotando l'indice facevano segno: <<Dopo... Dopo...>>. Dopo vi diciamo tutto. Tutto quello che abbiamo trovato e che pensiamo di trovare ancora, solo un po' di pazienza... Era il 23 novembre del '94. E la scena di quel festoso attivismo giudiziario, ripreso da decine di telecamere, fissato da centinaia di flash, faceva il giro del pianeta.

Quella sera, e per quante altre sera, le luce sembravano non spegnersi mai dentro la <<fabbrica>> di Mani pulite. E oggi? L'ufficio di Greco e' buio e sprangato. Quello di Colombo pure. E Piercamillo Davigo, il Pm che voleva <<rovesciare l'Italia come un calzino>>? Scuro anche da lui, stanza 74, quella che fu di Antonio Di Pietro.

Davanti alle stanze di Ilda Boccassini e Paolo Ielo, altri Pm di quella che fu la task-force anticorruzione piu' famosa del mondo, si agita un crocchio vocianti. Giornalisti? Ma no. Avvocati e inquisiti in attesa di interrogatorio? Neppure. Chi siete? <<Inservienti, autisti>>. La dottoressa Boccassini?  <<E' fuori>>. Il dottor Ielo? <<Provi a bussa re. Ma lo vede anche lei che la luce e' spenta>>. Piu' in la' sorride a braccia conserte dal suo busto di bronzo il dottor Emilio Alessandrini, il magistrato trucidato dalle Br.

Il suo sguardo mite sembra indicare la porta del procuratore capo Gerardo D'Ambrosio Qui si' la luce e' accesa. Filtrano voci. <<Desidera?" C'e' il dottor D'Ambrosio? Non c'e'>>. Posso aspettare? <<Inutile. Per oggi non viene>>. E come congedo un'occhiata all'orologio.

Si le giornate sembrano essersi terribilmente accorciate a palazzo di giustizia. C'e' meno lavoro? Oppure e' la nuova aria che tira a far abbassare le braccia? Passiamo di nuovo davanti al l'ufficio di Gherardo Colombo. Un usciere fa <<Lo dico anche a lei...>> che cosa? <<che il dottore e' fuori.. .>>.

Infatti, si scopre che e' a Bologna; a presentare il suo ultimo libro, da un dolcissimo titolo: <<Ameni inganni>>. Da li Colombo spiega che la fuga dei magistrati da Milano <<e' fisiologica),. Anche se, forse, <<la prospettiva della separazione delle carriere e regole che rallentano la giustizia>>, potrebbero averla accelerata. <<La riforma del giudice unico - dice ci richiede impegni lavorativi veramente formidabili, questo pure potrebbe avere influenza>>.

Eppure non era mai stato il superlavoro a spaventare il Pool; anzi, piu' le  luci restavano accese piu' il giorno dopo i volti erano raggianti. Altri tempi. Non solo per Milano. Anche un altro grande teatro delle vicende giudiziarie di questi anni, il palazzo di giustizia di Palermo, perde magistrati.

Da un'analisi provvisoria delle domande di trasferimento arrivate al Consiglio superiore della magistratura, emerge che hanno chiesto di fare le valigie 21 Pm su 66, un terzo. <<Molti vogliono tornare nelle loro regioni d'origine>>, ha spiegato il presidente della commissione dei trasferimenti del Csm Claudio Viazzi. Come dipendenti statali qualsiasi. <<Verra' un momento - promette un magistrato del palazzaccio milanese andato spesso in prima pagina - in cui tutto sara' chiaro, allora si potranno fare valutazioni serie. Adesso e' il momento di tacere, di non drammatizzare>>. Sulle porte metalliche dell'ascensore principale che ci riporta al piano terra una mano armata di temperino ha inciso: <<Berlusconi in galera". Il graffito brilla sotto il neon e fa' un rumore incredibile in questo pomeriggio di piovoso silenzio.

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Ma Borrelli difende le sue scelte : <<L'accusa non e' stata sconfessata>>

<<Il numero dei magistrati che chiedono di venire qui supera sempre quello di chi vuole andarsene>>

L'UOMO CHE COSTRUI' l'INCHIESTA Francesco Saverio Borrelli, oggi Procuratore generale di Milano, era il capo del pool di Mani pulite all'epoca dell'avviso di garanzia inviato a serlusconi. Per Borrelli al'impianto accusatorio ha tenuto))

ANDREA PASQUALETTO

da Milano

Sconfitta della Procura?

<<Non direi".

Vittoria?

<<Nemmeno>>.

Cioe'?

<<L' esito dei processi non e' mai ne' l'una ne' l'altra. E' semplicemente la conclusione di un difficile cammino processuale dove noi non siamo una parte privata in causa>>.

Come si e' concluso questo cammino, per lei?.

<<Mi sembra che complessivamente l'impianto accusatorio abbia tenuto, il che conferma che l'informazione di garanzia non era inutile. Le tre prescrizioni non sono assoluzioni".>>

Ma per Silvio Berlusconi c'e' anche un'assoluzione.

<<Si, per insufficienza di prove. Ma l'episodio e' stato condannato>>.

E' il solito Francesco Saverio Borrelli quello che ieri, mezz'ora dopo la sentenza della Corte d'appello, apre la porta del suo ampio ufficio di procuratore generale ai giornalisti. Pacato, sereno, reticente ma solo in apparenza. Con una mano tiene la porta, con l'altra prova un saluto. Poi non resiste e fa passare. Si e' appena conclusa la riunione con il suo sostituto Piero De Petris, il magistrato dell'accusa al processo. Hanno discusso della sentenza ed entrambi sembrano soddisfatti.

<<Ma si', prescrizione per Mondadori, Mediolanum e Videotime. Il problema non e' nostro. E di acque, ne passano troppe sotto i ponti prima che si arrivi al capolinea dei processi>>, puntualizza De Petris.

<<E' vero, il guaio e' il tempo>>, insiste Borrelli. Fuori piove ma l'acqua e il tempo di cui parlano i due magistrati sono un'altra cosa. Sono i sette anni e mezzo e oltre trascorsi dagli episodi contestati. Lui stesso, Borrelli, iscrisse Berlusconi nel registro degli indagati quando era premier. Per poi inviargli quel famoso invito a comparire al vertice mondiale sulla criminalita' organizzata, Napoli, novembre '94. In seguito, sotto la sua regia, le inchieste su Berlusconi si moltiplicarono: avvisi, perquisizioni, processi. Ora tutto sembra dissolversi. La Procura avra' anche fatto il suo lavoro, ma qualcosa non ha funzionato.

<<Si, e' il solito discorso>>, sospira Borrelli. Dell'assoluzione per il fatto di Telepiu' preferisce parlare in altri termini: <<La corruzione c'e', nel senso dell'episodio, anche se un imputato e' stato assolto>>. Si discute, si scherza. Borrelli passeggia per il suo studio e parla come un docente. Osserva i giornalisti, guarda il pavimento. <<Non e' rimasto nulla - osa qualcuno -. Grandi bufere e nessuna condanna definitiva. La gente percepisce questo>>.

Il suo punto di forza, granitico e inattaccabile, e' la prescrizione. E  allora lui allarga le braccia per non ripetere le stesse cose. L'ironia finisce sul <<Borrelli bocciato, Berlusconi assolto>>. <<Anzi,  promosso>>, ride Borrelli.

La sua bocciatura riguarda invece la presidenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche. C'e' poi la vicenda delle <<fughe>> dalla Procura, 35 sostituti chiedono il trasferimento ad altre sedi.

Un giornalista gli allunga uno zuccherino: <<E' forse una fuga anche da D'Ambrosio, ora che non c'e' piu' Borrelli?>>. <<No, non penso proprio>>, dice lui. Zio Jerry e' amato quanto lui. Per Borrelli e' solo un fenomeno legato ai cambiamenti epocali. C'e' il rischio incombente della separazione delle carriere, il disordine della riforma che ha fuso le procure.

<<In queste condizioni i magistrati cercano delle alternative, specie se hanno anche la vocazione del giudicante>>. Questa delle <<fughe>> sembra un po' la fine di una stagione.

L'ambitissima Milano di Mani pulite sta forse cedendo il passo? <<Non credo, le richieste per venire qui superano sempre le domande di trasferimento>>, resiste il Pg.

Gli attacchi a Borrelli e alla Procura si faranno pesanti. <<Molti nemici, molto onore>>, sorride precisando: <<Non vonrei che questa citazione mi costasse la patente di fascista>>.

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Bocche cucite, imbarazzo al Bottegone.

[DA] Roma.

Il verdetto spiazza i Ds. Folena tace, Veltroni pure. E Occhetto fa sapere di <<non aver nulla da dire>>

Parla solo Leoni. <<Berlusconi non cadde per la magistratura, ma per la rottura con la Lega>>

Parla soltanto Carlo Leoni, responsabile giustizia dei Democratici di sinistra e fedelissimo di Valter Veltroni. All'epoca non era in Parlamento, oggi dice: <<Il governo Berlusconi non cadde per colpa della magistratura e di quell'avviso di garanzia. Cadde per la rottura della Lega>>.

Non fanno dichiarazioni invece Pietro Folena, a lungo esperto delle cose giudiziarie della Quercia e ora numero due, Achille Occhetto segretario della stagione di maggior colleganza tra Botteghe Oscure e i Pm, Veltroni da' incarico a Leoni e cosi' i Ds di oggi non commentano quelli di ieri. Preferiscono non commentare, preferiscono non ricordare. Veltroni sostiene spesso di non aver mai cavalcato l'onda giustizialista, anche da direttore dell'Unita'. Ma altri dirigenti del partito su quell'onda hanno surfato e hanno lavorato di pari passo con le inchieste giudiziarie.

Achille Occhetto oggi dice di <<non aver nulla da dichiarare>>. Allora, nel 1994 scelse una linea politica di appoggio totale del Pool milanese. Negli anni i Ds, guidati da Massimo D'Alema e da Veltroni, hanno cercato di correggere quella rotta scegliendo la strada di un maggiore garantismo. Ma sono stati tantissimi i tira e molla, i passi avanti e il percorso all'indietro. Il filo che lega i pubblici ministeri e il Bottegone nessuno e' mai riuscito a spezzarlo. La sentenza di assoluzione di Berlusconi a Milano spiazza quindi i vertici della Quercia che rispetto ad allora mostrano ora un garantismo a tutto tondo.

Ma c'e' anche la politica, oltre agli atti giudiziari. La clamorosa modalita' con cui l'avviso di garanzia di questo processo raggiunse il Cavaliere. Ecco perche' e' su questo punto che Leoni, dopo una consultazione con il segretario Veltroni, decide di rispondere al Polo. Per evitare che le decisioni del Pool oggi possano apparire davvero come un colpo al Paese.

L'esperienza al governo di Silvio Berlusconi non duro' solo 8 mesi perche' il leader del Polo fu sottoposto a una persecuzione giudiziaria, ma fu il ribaltone della Lega a tradirlo.

E' un modo anche per scavare nelle contraddizioni di un ritrovato accordo tra il centrodestra e il Carroccio. Ma sul passato, sugli errori giustizialisti del passato diessino tutto tace.

Il responsabile giustizia dei Ds commenta cosi' la sentenza di assoluzione di Berlusconi al microfono del GrRai: <<Vorrei ricordare a Fini e agli altri esponenti del Polo che Berlusconi fini' di essere presidente del Consiglio perche' si ruppe la maggioranza che lo sosteneva. Per il dissenso della Lega e non per l'iniziativa della magistratura,>.

E Leoni boccia la richiesta della Maiolo rivolta alla Procura di Brescia di <&l t;processare il Pool per attentato agli organi costituzionali)>. Tiziana Maiolo, deputata di Forza Italia, non chiede il processo solo per il Pool, ma anche per i suoi <<complici politici>>.

<<Siamo oltre i limiti della ragionevolezza - spiega Leoni - non e' la prima volta cne la Maiolo dimostra di non essere in grado di ragionare lucidamente su questioni che riguardano la giustizia>>. <<Ancora una volta - ha aggiunto - gli esponenti del Polo dimostrano di avere una concezione quantomeno discutibile, per non dire risibile, della giustizia e del diritto: le cose vanno bene quando ci sono sentenze di assoluzione o di prescrizione di reati come nel caso di oggi; quando non avviene, la magistratura e' solo l'organizzatrice di un grande complotto contro di loro. Dovrebbero avere un atteggiamento piu' equilibrato e di maggiore rispetto, sempre e comunque a prescindere dalle convenienze personali>>.

Sull'ipotesi provocatoria di La Loggia di restituire la poltrona di Palazzo Chigi a Berlusconi Leoni risponde: <<Chi governera' questo Paese lo decidono gli elettori, e non Berlusconi, ne' chi lo sostiene>>.

[DA]

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Di Pietro ancora non ci sta, polemica al Senato.

L'ex-Pm, che si atteggia a paladino della giustizia, rifiuta di accettare il verdetto : e' una prescrizione.

Gianni Pennacchi

Roma.

No che non ci sta, Antonio Di Pietro. Dopo aver battibeccato in aula col capogruppo forzista Enrico La Loggia che chiedeva un applauso per la sentenza di Milano, e nonostante si sia alzato poi Renato Schifani per ribattergli che <<Berlusconi e' stato assolto per l'accusa piu' pesante, la prescrizione riguarda solo le pene accessorie>>, insiste. Dice che la Corte d'appello di Milano ha riconosciuto Berlusconi innocente solo per un quarto, gli altri tre sono semplice prescrizione, merito cioe' dello scader del tempo.

Aggiunge che questa non e' la sconfitta del Pool milanese, semmai della   giustizia. Ribadisce che quell'avviso di garanzia a mezzo stampa nel '94, non fu colpa dei magistrati ed anzi danneggio' pure loro. Ma per amor di patria, non domandategli di quel suo celebre <<io a quello lo sfascio>>; quello, ovviamente Berlusconi.

Che ne dice, senatore Di Pietro? Berlusconi e' stato assolto.

<<Precisiamo: su quattro accuse che erano state formulate nei suoi confronti, per una sola e' stato assolto dopo che in primo grado lo avevano condannato. Nelle altre tre, per le quali anche era stato condannato in primo grado, e' stata dichiarata la prescrizione del reato. E se si vuol fare una corretta informazione, bisogna ricordare che la prescrizione estingue il reato per intervenuto decorso del tempo. C'e' poi da dire che gli interessati possono anche rinunciarvi per chiedere un'assoluzione nel merito; e nel caso di specie cio' non e' avvenuto, il Tribunale ha dichiarato innocente Berlusconi per un capo d'imputazione e ha preso atto della prescrizione per gli altri tre dopo la condanna in primo grado>>.

Pero' anmettera'che tale epilogo segna la sconfitta del Pool rnilanese.

<<C'e' una bella differenza tra sconfitta della giustizia e sconfitta del Pool. Ho gia' sentito affermazioni gravi e irriguardose nei confronti del Pool di Milano, ma il Pool di Milano ha fatto un'inchiesta sulla base di una notitia criminis qualificata, tanto qualificata da essere accolta dal Gip che ha rinviato a giudizio, dal Tribunale di primo grado che ha proceduto alla condanna, dal Tribunale di secondo grado che dopo aver assolto per un caso ha dichiarato la prescrizione per gli altri tre. Dunque, come si vede, la giustizia fa il suo corso nei tempi che le sono fisiologici. Prescrizione vuol dire che dopo la condanna il tempo e' passato, e tanto per cui la giustizia e' stata sconfitta. Ma con essa non e' stato sconfitto il Pool, che aveva ben ragione di portare avanti il processo>>.

Con chi ce l'ha?

<<In questi anni si e' guardato troppo ad un solo piatto della bilancia, quello pur legittimo dei giusti diritti dell'imputato che anch'io condivido. Ma la bilancia della giustizia e' in parita' quando anche sull'altro piatto, il piatto del processo, vengono prodotte norme per cui il processo raggiunge il suo fine, che e' l'accertamento della verita'. In questi anni sono mancati gli impulsi necessari e sufficienti per rendere piu' svelti e snelli i processi, piu' attuali rispetto a quando il fatto avviene o e' scoperto. Questa, e' la sconfitta della giustizia: tirare alla lunga, fin quando non arriva il tempo della prescrizione>>.

Non ci sta il senatore o l'ex Pm?

<<Ah no, io rispetto la magistratura. E rispetto le decisioni del Pool quando ha proceduto, del Gip quando ha rinviato a giudizio, del Tribunale quando ha condannato ed oggi quando ha assolto e prescritto, ci mancherebbe altro>>.

Il Cavaliere pero', lamenta danni politici immensi, per questa storia.

<<Vorrei ricordare che anch'io ero ministro, pur se semplice, quando mi raggiunse l'avviso di garanzia per il caso Pacini. Mi sono dimesso, ho subito i miei cinque anni di processi, l'altro ieri sono stato assolto perche' il fatto non sussiste, che e' cosa ben diversa dalla prescrizione, e non ho fatto neanche una dichiarazione alla stampa. Chi vive tranquillamente, non ha bisogno di strumentalizzare questi fatti)>.

Senatore, ma Berlusconi fu avvisato a mezzo stampa, era presidente del Consiglio e in pieno vertice Onu a Napoli.

<<L'ho gia' detto mille volte, e lo ripeto. Le questioni sono due. La prima e' che quell'avviso di garanzia non poteva che essere fatto in quel momento storico. La seconda e' che quell'avviso e' stato pubblicato in modo tale da fare un danno sia all'interessato sia alla giustizia. Io sono stato tra quelli che ha denunciato il fatto alla Procura di Brescia, perche' convinto che anche la Procura di Milano, oltre all'interessato senza dubbio, abbia ricevuto un danno da quella pubblicazione. E come lei sa, i magistrati di Brescia hanno concluso che la violazione della pubblicazione anzitempo dell'avviso di garanzia non era avvenuta ad opera di alcuno del Pool di Milano. Onesta' per onesta'>>.

Sia buono senatore e mi tolga una curiosita', se vuole me la tengo per me disse o no a Borrelli, quel famoso <<io a quello lo sfascio>>?

Di Pietro se ne va senza rispondere, fulminando con gli occhi e allargando le braccia, sconsolato.