Messaggero del 04-05-2001

ANALFABETI DI RITORNO

ROMPERE LA SPIRALE CHE PORTA AL BUIO DEI VALORI

di PAOLO POMBENI

LO confessiamo, era capitato anche a noi di vedere due giovani muratori ad un ufficio postale di Bologna che erano incapaci di riempire un semplice modulo ed hanno dovuto chiedere (senza alcuna vergogna) l’assistenza dell’impiegato. Erano due italiani, non due immigrati. Oggi apprendiamo da una ricerca sociologica che non si trattava delle classiche "mosche bianche", perché sembra che il 25% dei maschi diciottenni (la ricerca è stata svolta fra i giovani che assolvono la leva militare) sia assai vicino all’analfabetismo. Non sappiamo delle ragazze, ma non ci sono motivi per immaginare che tra loro la situazione sia particolarmente diversa.
Che dire di fronte a questi dati, che confermano altri precedenti ed anche la comune esperienza di molti sulla grave crisi che incontra il nostro sistema di istruzione? Stracciarsi le vesti? Imbastire dotte elucubrazioni sul linguaggio dei telefonini che uccide la grammatica e sulla TV che uccide la lettura? Si può fare, ma ci porta poco lontano.
Forse converrebbe prendere più direttamente il toro per le corna ed ammettere che oggi la scuola e l’istruzione hanno cessato di essere "una conquista di classe". L’essere istruiti non è più lo status symbol di una condizione di piena cittadinanza e di emancipazione sociale. Sono altre le cose che ti fanno sentire "arrivato" e tutte si traducono in una: soldi, disponibilità economiche. Cose che non sono più legate al raggiungimento di un certo livello di istruzione, perché nell’immediato un impiego artigiano o operaio rende bene. Non in assoluto, ché anzi per chi deve mantenere una famiglia si tratta spesso di salari insufficienti, ma per un giovane che vive in casa e che può tenersi "per spenderlo" tutto il primo guadagno si tratta del conseguimento di tanti gradini dello statuto sociale: il motorino, l’automobile, la discoteca, le vacanze con gli amici.
Certo dentro le situazioni registrate dalla ricerca del Cede ci sarà sicuramente una percentuale di disagio sociale ed economico: gente che non riesce ad usufruire della scuola perché proviene da realtà troppo degradate per avere a disposizione una base di partenza accettabile e gente che è costretta a lavorare per portare il proprio contributo essenziale alla sopravvivenza familiare. Sarebbe ingenuo (e anche stupido) fingere che questa "povertà" sia stata abolita. Ma sarebbe altrettanto ingenuo rifiutarsi di considerare che per una certa quota di popolazione l’istruzione non è più vissuta come una buona opportunità da cui trarre profitto, ma come una noiosa e inutile imposizione. Inutile soprattutto perché non dà accesso al guadagno immediato.
La spirale dell’incultura è molto forte e la lotta che si deve sostenere per provare a romperla è a volte titanica. Gli insegnanti lo sanno benissimo: parlate soprattutto con quelli delle scuole medie delle zone di frontiera. Loro spesso sono vissuti dagli alunni come il simbolo negativo dei risultati che si raggiungono con la "cultura": non hanno buone possibilità economiche, viaggiano su automobili modeste e non possono permettersi consumi costosi. Al contrario, chi si butta presto nel lavoro queste cose può permettersele. E non pensate che le famiglie tirino indietro, facendo riflettere i giovani sul fatto che quella del lavoro precoce e scarsamente qualificato è una conquista effimera. Un poco per necessità (liberarsi del bisogno di pensare ai consumi dei giovani alza la disponibilità di risorse per i propri), un poco per assuefazione ai miti correnti (si possono far molti soldi anche solo essendo belli, atletici, furbi, ecc.), molte famiglie sostengono quella che abbiamo chiamato la spirale dell’incultura.
Per essere onesti bisogna aggiungere che in maniera appena un poco meno drammatica essa tocca anche gli scolarizzati più stabili, i cui livelli di apprendimento e di dominio del vocabolario e della sintassi sono molto meno brillanti di quel che erano vent’anni fa (per non andare troppo indietro).
E’ inutile stracciarsi le vesti o deputare alla scuola la "mission impossible". La questione sta nella società, nel suo sistema di valori. Se essa non si convince che la cultura è emancipazione e conquista di libertà, se non ripristina l’istruzione come valore esigendola e difendendola (dai programmi televisivi alla buona educazione), servirà poco impegnarsi per qualche programma sociale di educazione degli adulti. Sarebbe come voler vuotare il mare con un secchiello.