Repubblica
del 06-05-2001
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Processi e conflitti il premier impossibile
PIERO OTTONE
Questa è la dichiarazione di voto di un normale cittadino
italiano, quale credo di essere. Poiché la campagna elettorale è stata dominata dalla
figura di Silvio Berlusconi, penso che una dichiarazione di voto debba soprattutto
chiarire se si accetta o si respinge la figura di Berlusconi come presidente del
Consiglio. Io ritengo che la sua vittoria il 13 maggio sarebbe nociva per il nostro Paese,
e vorrei spiegare perché.
Il giudizio negativo che do su di lui non riguarda in primo luogo le sue caratteristiche
personali, o le sue motivazioni. Credo che sia entrato in politica per salvare le sue
aziende, allora in una difficile situazione finanziaria, e per salvare se stesso,
minacciato da azioni penali: poiché aveva perso i suoi grandi protettori politici,
Bettino Craxi in primo luogo, decise di entrare in politica per proteggersi da solo. Oggi
quegli obiettivi primari sono però raggiunti, e se continua a fare politica, è
probabilmente mosso da altre ambizioni: essendo immodesto, forse spera di passare alla
storia come lo statista che ha salvato l'Italia. Ha i titoli per farlo ? Io penso di no,
perché lo reputo egocentrico, spregiudicato, superficiale. Le stesse qualità di uomo
d'affari, senza dubbio in lui straordinarie, sono incompatibili secondo me con quelle che
si richiedono a un uomo di Stato. Altri pensano il contrario: forse sbaglio io, forse
sbagliano loro. Anche le collocazioni di destra o sinistra sono, nell'ambito di queste
considerazioni, secondarie.
Io sono convinto che la sua vittoria elettorale sarebbe nociva all'Italia per un'altra,
precisa ragione: la questione giudiziaria. In nessuna grande democrazia un cittadino può
aspirare a reggere il governo se è accusato di reati così gravi come quelli imputati a
Silvio Berlusconi: falso in bilancio, corruzione dei giudici. Né può farlo chi abbia
dato vita a un intreccio di società di comodo dalle quali trae comunque notevoli vantaggi
fiscali, oltre ad altri eventuali benefìci. Né sarebbe tollerata la comune militanza
politica con uomini a loro volta sotto processo per l'imputazione di reati altrettanto
infamanti, che sarebbero stati commessi in comune. In un altro Paese dell'Occidente un
simile curriculum giudiziario escluderebbe automaticamente dall'agone politico. È brutto
segno se in Italia passano inosservati.
Berlusconi, per difendersi, sostiene di essere la vittima di una persecuzione giudiziaria:
ma la sua difesa aggrava la situazione, perché presenta l'Italia come un Paese in cui la
magistratura è disonesta e corrotta. Non è infatti in gioco un singolo giudice, o un
singolo processo: le iniziative giudiziarie riguardanti Berlusconi e i suoi collaboratori
partono da numerose Procure. Se si tratta di persecuzione giudiziaria, se si tratta di
iniziative ingiuste e disoneste, bisogna dedurne che la magistratura italiana nel suo
insieme è corrotta, ed è incapace di eliminare dal suo seno le parti corrotte. Che
giudizio si può dare di un Paese dotato di una giustizia da Terzo Mondo ?
La seconda ragione che mi fa ritenere nociva all'Italia una vittoria elettorale di Silvio
Berlusconi è la concentrazione di potere, di cui il conflitto di interessi costituisce
soltanto un aspetto. La concentrazione di potere riguarda soprattutto il mondo
dell'informazione: in caso di vittoria, la stessa persona avrebbe il controllo delle reti
televisive private e pubbliche, e sappiamo, perché lo vediamo tutti i giorni, quale uso
spregiudicato faccia della televisione Silvio Berlusconi. Sappiamo anche con quale
disinvoltura eluda la legge: quando le norme gli vietavano di possedere, oltre alle reti
televisive, un giornale quotidiano, passò la proprietà del quotidiano al fratello (in
qualsiasi altro Paese sarebbe bastato un episodio del genere per escludere un cittadino,
per ragioni di costume, dal gioco politico). Se avesse la maggioranza in parlamento,
Berlusconi avrebbe ampia possibilità di adeguare le leggi ai suoi interessi. Ma la
concentrazione di potere non si limita all'informazione. Essa è finanziaria e politica,
con la conseguente possibilità di pressione in numerosi settori della società. Un simile
cumulo di potere sarebbe concepibile, forse, in Thailandia: non certo nell'Europa
occidentale.
Queste considerazioni si riassumono nella questione morale. In Italia, se si escludono
alcune fiammate passeggere, la questione morale ha avuto finora scarsa rilevanza. La gente
non ci fa caso; anche molte persone autorevoli, anche molti intellettuali (di destra e di
sinistra) la considerano alla stregua di quel che nel commercio delle automobili si
definisce un optional. C'è chi consiglia di fare finta che la questione morale non
esista, quasi fosse un fatto irrilevante, e c'è chi considera i giudici come semplici
guastafeste, come elementi estranei alla vita della società. Di recente un alto
rappresentante dello Stato ha ricevuto solennemente in Parlamento, come se fossero state
reliquie, certi documenti provenienti da un uomo politico morto all'estero in stato di
latitanza per sfuggire a pene di detenzione, e nessuno ha trovato da ridire.
L'indifferenza alla questione morale non è una semplice faccenda di indole nazionale:
indica piuttosto il livello di una nazione. Le nazioni evolute aspirano a essere governate
da persone di specchiata dirittura; basta un semplice sospetto di mendacità per escludere
una persona dalla vita politica. Nel Terzo Mondo, d'altra parte, il potere è spesso stato
esercitato da persone di dubbia moralità. Forse tutto il problema si riduce allo stadio
di sviluppo di ogni singola nazione.