Pecorella, legale di Berlusconi: nel modificare il codice
dimenticarono per due anni una norma MILANO - "Corrompere un giudice non è reato". O
quantomeno "non rappresentava un fatto penalmente
perseguibile tra il 1990 e il 1992", cioè nel periodo delle presunte tangenti che
Silvio Berlusconi è accusato di aver versato, attraverso Cesare Previti, a due alti
magistrati di Roma. Quando dalle udienze a porte chiuse del caso Mondadori
sono cominciate a filtrare le prime indiscrezioni su questa nuova linea difensiva del
leader di Forza Italia, più di un magistrato milanese ha sorriso pensando a uno scherzo:
"Sembra una barzelletta di Luttazzi". Ma la tesi - esposta prima dai difensori
di Previti e poi, con dotti riferimenti interpretativi, dal professor Gaetano Pecorella,
il parlamentare di Forza Italia che guida il collegio di avvocati di Berlusconi - è
tuttaltro che una boutade, perché si richiama a uno dei principi-base della
civiltà giuridica: la "tassatività" delle norme penali. Ovvero la
regola-cardine per cui non sono ammesse "estensioni" dei reati "per
analogia": ciò che non è espressamente vietato, deve essere considerato lecito.
Il caso è stato sollevato davanti alla quinta corte dappello, chiamata a esaminare
il ricorso della Procura contro il proscioglimento di Berlusconi e Previti per la
questione Mondadori. I pm di Mani Pulite puntano a rovesciare il verdetto del gup Rosario
Lupo, che aveva bocciato linchiesta, ritenendo indimostrate le accuse rivolte al
magistrato romano Vittorio Metta. Questultimo, nel gennaio 1991, stese la sentenza
che, ribaltando un precedente verdetto ("lodo arbitrale") favorevole a De
Benedetti, assegnò al Cavaliere la grande casa editrice. Come presunta tangente, i pm
Colombo e Boccassini individuarono un flusso di denaro, in Svizzera, dai presunti conti
Fininvest a quelli di Previti e del collega Pacifico: in Italia sarebbero arrivati almeno
400 milioni, con cui il giudice Metta avrebbe comprato casa alla figlia. Laccusato
ha però giustificato quei 400 milioni con leredità di un collega magistrato,
convincendo il gup Lupo.
Ora tutte le difese chiedono alla corte, "in via principale", di bocciare di
nuovo lintera accusa. Ma "in subordine", cioè se fosse rovesciato il
verdetto su Metta, la richiesta è di assolvere comunque Previti e Berlusconi. Per un
problema di date: per le tangenti "normali", il codice punisce con due norme
distinte il corrotto (articolo 319) e il corruttore (321). La "corruzione in atti
giudiziari" fu prevista come reato più grave solo nellaprile 90, con una
norma (319-ter) che punisce chi riceve le tangenti. Solo nel febbraio 92 le stesse
pene sono state estese epressamente anche a chi paga. Di qui la tesi dei difensori: tra il
90 e il 92 corrompere un giudice non era reato.
A questa soluzione si sono opposti con toni sdegnati sia il sostituto pg Pietro De Petris
che lavvocato di parte civile Giuliano Pisapia: per entrambi, la legge del 92
era solo un"intepretazione autentica" di un reato "comunque già
applicabile" anche al corruttore. Il verdetto finale della cortre dappello è
previsto dopo le elezioni.