Ebbene si', la storia si ripete. E il caso giudiziario rappresentato dai processi alla Fiat lo conferma. Oggi il vertice del gruppo torinese, di gran lunga il primo gruppo imprenditoriale italiano, I'unico in grado di competere ad armi pari con i colossi europei e americani, il "Monte bianco" dell 'industria e della finanza, come lo definisce Enrico Cuccia, grande vecchio del capitalismo tricolore, e' finito nel mirino delle procure di Milano, Torino e Roma. Pochi lo ricordano, anche grazie all'efficienza delle relazioni esterne Fiat, ma quasi un secolo fa l'intero stato maggiore dell'allora nascente societa' automobilistica venne messo sotto inchiesta dalla magistratura torinese. L 'accusa era grave: falso in bilancio, proprio quel reato che rappresenta il grimaldello utilizzato dalla magistratura di Mani pulite per sfondare il muro dell'omerta' nel mondo dell'imprenditoria, lo stesso di cui il partito trasversale che punta alla liquidazione delle inchieste chiede a gran voce la cancellazione dal codice penale.
Ai tempi la procura di Torino non ebbe timori reverenziali e sul banco degli imputati fini' niente meno che Giovanni Agnelli l'amministratore delegato della Fiat, nonche' fondatore della dinastia. Insieme a lui furono processati altri due cofondatori dell'azienda: I'agente di cambio Luigi Damevino e il presidente Ludovico Scarfiotti. L'accusa, che trovo' spazio anche grazie ad apprezzabili inchieste giornalistiche del quotidiano torinese la Stampa(non ancora di proprieta' Fiat), era di aver superato i limiti della legalita' rastrellando risorse ai danni degli azionisti minori.
Con quale obiettivo? Con tutta probabilita' per finanziare la scalata degli Agnelli alla Fiat, fondata a cavallo dei due secoli e caratterizzata da un azionariato diffuso. La decisione di quotare in borsa i titoli Fiat e' della fine del 1903.
<<Dalla lettura dei verbali dei consigli di amministrazione si ha la sensazione che si volesse evitare difarne oggetto di discussione approfondita temendo l'opposizione di quanti ritenevano che I 'operazione potesse nascondere insidie speculative>>, scrive Nicola De lanni, docente di Economia, nel libro Capitale e mercato azionario: la Fiat dal 1899 al 1961 (Edizioni scientifiche italiane, 1995). E fa capire nelle pagine sucessive che proprio falsi in bilancio e speculazioni di borsa hanno permesso agli Agnelli di costruire la loro dinastia. <<E chiaro che si e' trattato di una specie di hold up (uno scippo, nda), operato a tre per ottenere il controllo della Fiat>>, sostiene sulla stessa lunghezza d'onda la giornalista Marie-France Pochna (il giudizio e' contenuto nel libro Agnelli l'irresistibile, Sperling & Kupfer, 1990).
D'altra parte l'insider trading sui titoli della casa risulta una tradizione del gruppo torinese fin dalla costituzione. <<Molto intensa risulta anche l'attivita' della stessa Fiat e del Credito italiano sempre in lotta contro piccola e grande speculazione e piu' per difesa del dominio territoriale che per opposizione di principio - tutt 'altro! - e sempre al limite del conflitto di interessi e dell 'insider trading>>, afferma De lanni (op. cit.). Piu' esplicito Aldo Ravelli, per oltre mezzo secolo numero uno della Borsa italiana, che prima di morire nel 1995 ha concesso una lunga intervista al giornalista Fabio Tamburini (Misteri d'Italia, Longanesi, 1996). Ravelli ha ammesso di aver lavorato molto per Fiat negli anni Trenta e Quaranta, giocando di sponda con un piccolo istituto di' credito torinese assai vicino al gruppo: la Banca de Fernex.
In particolare, Ravelli parla di <<operazioni che vengono spesso ripetute dalla Fiat: la compravendita di titoli della societa' stessa>>. E dice: <<La consuetudine della casa e' di comprare quando le ricorrenti crisi aziendali sono al culmine e rivendere in seguito, dopo la ripresa. . . La storia e' quella di sempre, la solita tecnica. E, come ti ho detto, un metodo sperimentatofin dagli anni Trenta>>.
Poi, alla domanda di Tamburini che gli chiede se quelli della Fiat sono abili in Borsa, I'intervistato risponde: <<Sono ben bravi, dei veri maestri. . . Sono sempre riusciti,fin dagli anni Trenta, a portar via un sacco di soldi ai piccoli investitori>>.
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Un insider trading, quello di casa Fiat, che e' stato affinato dopo le prime esperienze fatte dal fondatore della dinastia. Quel Giovanni Agnelli autore del blitz a cui la famiglia deve il controllo della societa'. Scrive Angiolo Silvio Ori, autore del libro Storia di una dinastia: gli Agnelli e la Fiat (EditoriRiuniti, 1996): <<Vale la pena ricordare la risposta di un grande personaggio che la sapeva lunga, Valletta, a quanti gli domandavano chi avessefatto la Fiat: "la prepotenza di Agnelli ">>. E stata davvero soltanto questione di prepotenza ? La Procura di Torino, attivata da un rapporto della Prefettura, lo accuso' di <<illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e alterazione di bilanci sociali>>. E, in particolare, di avere <<provocato fra il 1905 e il 1906 enormi e ingiustificati rialzi alle quotazioni dei titoli Fiat, sia con il suddividere le stesse azioni, sia con il porre in liquidazione la societa' per ricostituirla, immediatamente dopo, con un moltiplicato numero di azioni, e con l'assorbimento dell'Ansaldo>>.
I capi d'accusa della Procura di Torino risultarono particolarmente gravi in quanto si sosteneva <<non esservi ragionevole dubbio che la crisi finanziaria verificatasi in Fiat non debba attribuirsi ai loschi intrighi dei suoi amministratori>>. Scrive Ori nel libro citato commentando ilprovvedimento della Procura: <<In sostanza Scarfiotti, Agnelli e Dancevino si sarebbero dolosamente arricchiti assumendo difatto il controllo della societa' in danno agli azionisti della Fiat attraverso una serie di manovre cosi' indicate: 1) spargendo artificiosamente "false notizie di colossali commesse ricevute dall'America poi rivelatesi inesistenti"; 2) rassicurando gli azionisti sulle condizioni della societa' (tanto floride da permettere un dividendo di 35 lire, mentre per distribuirlo avevano dovuto contrarre un mutuo passivo di parecchi milioni); 3) esagerando "con bilancifittizi" la prosperita' della Fiat. Scopo di quest'ultima manovra, far salire in Borsa i titoli della societa' di cuii essi, dopo averne fatto aumentare il numero con preordinati spezzettamenti, si erano procurati uno stock considerevole, immettendolo sul mercato quando era ormai inevitabile il suo deprezzamento. Ultinca e non meno grave, I 'accusa di avere provveduto al concentramento in Fiat di piu' aziende di cui
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erano amministratori, attraverso scambi importanti di quantita' di titoli, riuscendo cosi' "ad incamerare, in danno agli azionisti, la differenza sul loro prezzo">>. Fu un processo che ebbe vasta risonanza sulle pagine dei giornali, comprese quelle del quotidiano torinese la Stampa, e in cui ebbero parte non trascurabile due grandi personaggi: Vittorio Valletta e Vittorio Emanuele Orlando. Il primo, come racconta Piero Bairati nel libro-biografia Valletta (Utet, 1983), presento' una perizia che <<scagionava completamente i sindaci della Fiat e riconosceva la correttezza dei bilanci>>. Valletta, che non era ancora dirigente della Fiat, difesefino infondo i sindaci sostenendo che <<avevano obbedito con continuita' e precisione alle disposizioni di legge>>.
Vittorio Emanuele Orlando, il potentissimo ex ministro di Grazia e giustizia, amico del cavalier Agnelli come del resto il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, assunse la guida del collegio difensivo. Proprio le schermaglie degli avvocati riuscirono a trascinare il processo per lungo tempo. Di conseguenza, la sentenza arrivo' quattro anni dopo l'inizio dell'inchiesta. Davvero tanti, troppi perche' il processo potesse sollevare ancora qualche interesse nell'opinione pubblica. Il risultato fu' che l'assoluzione degli imputati <per inesistenza del reato>> passo' quasi inosservata. Finira' cosi' anche per i falsi in bilancio riscontrati quasi un secolo dopo dalla Procura di Torino nei confronti di Cesare Romiti, I 'attuale presidente della Fiat, e dei suoi collaboratori ? Difficile dirlo. Certo Romiti si sta difendendo con ogni mezzo disponibile, come del resto e' facilmente immaginabile considerando le caratteristiche del personaggio: <<La vita e' lotta>>, ha dichiarato nell'intervista di Giampaolo Pansa pubblicata nel 1988 (Questi anni alla Fiat, Rizzoli).
Fine citazione del libro.
Nota personale maliziosa :
Le vicende giudiziarie del Cavalier Berlusconi non ricordano le medesime vicende gia' passate dal nonno di Gianni Agnelli? E' proprio vero che la storia si ripete e che serve ai potenti e prepotenti tenere il popolo nell'ignoranza : la memoria e la conoscenza impedirebbero che certi errori si ripetessero nel tempo a danno del bene e della prosperita' di tutti!!!!!!!!!!!!!