UNA STORIA ITALIANA
E' previsto che, con le elezioni del mese prossimo, Silvio Berlusconi, diventi di nuovo primo ministro. E tuttavia egli è ancora coinvolto in una serie di battaglie legali. Le sue società hanno usato denaro proveniente da fonti non rintracciabili e deve affrontare accuse che lo vogliono collegato alla mafia.
Il 20 aprile, in una disadorna aula giudiziaria milanese, tre giudici si sono incontrati per ascoltare le testimonianze di un importante processo. Il procedimento trattava di un caso di presunta corruzione di giudici. Sulla porta, c'era, scritta a mano, la lista degli accusati. In cima c'era il nome di Silvio Berlusconi.
Il caso illustra in modo evidente come Berlusconi non si sia lasciato alle spalle i suoi problemi legali. Poco prima che diventasse primo ministro, nel maggio del 1994, il suo impero finanziario, FININVEST, fu oggetto delle indagini di Mani Pulite. Quest'operazione, inaugurata dai magistrati di Milano nel 1992, aveva messo a nudo una profonda corruzione nella politica, nella burocrazia e nel mondo degli affari italiani.
Quando Berlusconi fondò il suo partito politico - Forza Italia - si sapeva poco di come egli gestisse i propri affari. Si presentava agli italiani come un uomo che si era fatto da sé, che aveva costruito un potente impero televisivo infrangendo il monopolio del sistema di trasmissione statale, la RAI. Affermava di rappresentare una rottura con il passato corrotto dell'Italia.
A partire dal 1994, i magistrati hanno indagato su molte presunte accuse contro Berlusconi, compresi riciclaggio di denaro sporco, collusione con la Mafia, evasione fiscale, concorso in omicidio, corruzione di politici, giudici e guardie di finanza. Berlusconi vigorosamente respinge tutte le accuse, sostiene che giudici di sinistra dominano la magistratura e che le indagini di Mani Pulite erano politicamente motivate. Non c'è da sorprendersi che i suoi più intimi accoliti ribadiscano le sue affermazioni. "Berlusconi è perseguitato fin dal 1993; c'è qualcosa di marcio nel sistema giudiziario", dice Fedele Confalonieri, un suo vecchio amico, e presidente di Mediaset.
Nel 1996, un alto magistrato inglese, Simon Brown, aveva un'opinione alquanto diversa. Il caso riguardava un fallito tentativo di Berlusconi di impedire che magistrati italiani si impossessassero di documenti sequestrati dall'Ufficio Frodi Inglese. I magistrati avevano bisogno di alcuni di questi documenti come prova di un caso di finanziamento politico illegale, mentre Berlusconi sosteneva che il presunto reato fosse di natura politica.
Il Giudice Brown sostenne che si trattava di uso improprio di parole:
descrivere la campagna dei giudici come motivata da "fini politici", ovvero descrivere Berlusconi come perseguitato politico... i magistrati si mostrano equanimi nel trattare allo stesso modo i politici di tutte le parti. E', indubbiamente ironico il fatto che alcuni di coloro che chiedono di resistere lo facciano asserendo un'offesa di natura politica che mal si concilia con il fatto che in quel momento fosse lo stesso Berlusconi al governo... semplicemente mi è difficile considerare prigionieri politici' dei finanziatori politici corrotti.
Ma Berlusconi ha una seconda linea di difesa: "l'Italia non è un paese normale. Anche un caso anomalo come Berlusconi va compreso nel contesto del paese. Non ha fatto niente di più grave di un qualsiasi uomo d'affari italiano" - afferma Confalonieri.
Certo molte persone, e non solo a destra, fanno eco a questa difesa. Berlusconi, dicono, ha fatto solo quello che tutti gli uomini d'affari dovevano fare per andare avanti: pagare tutti quelli, politici e giudici inclusi, che potevano aiutare. Il problema di Berlusconi, dicono, è semplicemente di essere stato più intelligente e di divenire più ricco dei suoi rivali. Inoltre, aggiungono, che cosa facevano i magistrati prima di Mani Pulite, quando erano visibilmente inerti nel perseguire le persone importanti?
Altri sono in disaccordo. "E' andato aldilà di qualsiasi modo accettabile di fare affari in Italia", commenta un importante banchiere italiano.
La macchina della giustizia
Tre cose sono importanti se vogliamo pienamente comprendere i nodi legali di Berlusconi. Per prima cosa nel sistema processuale italiano, in presenza di una notizia di reato, i magistrati hanno il dovere legale di indagare. In secondo luogo, una volta che le denuncie sono pervenute, il sistema giudiziario si muove con molta lentezza; un processo può durare anni, come pure il processo di appello. In terzo luogo, in Italia gli accusati non sono considerati colpevoli prima della sentenza definitiva nelle corti di appello.
Berlusconi, fino ad oggi, non ha mai avuto condanne definitive, ma soltanto tre dei nove procedimenti penali contro di lui sono arrivati alla corte d'appello. Nel solo caso in cui si conosce il verdetto, relativamente a donazioni politiche illegittime, la corte non lo ha considerato innocente. Ha semplicemente confermato la sentenza del giudice di primo grado che, a causa del tempo trascorso dalla commissione del reato, aveva applicato delle prescrizioni che, ai sensi del codice penale italiano, estinguono la pena.
Tutti i problemi legali di Berlusconi sono legati alla sua carriera nel mondo degli affari, cominciata negli anni 60. Quando entrò in politica, rinunciò alla conduzione di tutte le sue società Fininvest; tranne che alla squadra del Milan. Comunque, egli resta l'azionista di controllo, e uno o entrambi i suoi figli adulti fanno parte dei consigli di amministrazione di ognuna delle principali società del suo impero.
La struttura di quell'impero anche oggi non è trasparente e, nel passato, è stata ancora più confusa.
Ventidue delle holding possedute dalla famiglia Berlusconi controllano circa il 96% della Fininvest. Il principale attivo di Fininvest è di gran lunga un pacchetto azionario di Mediaset: il cui valore è di 13.100 miliardi lire (6 miliardi di dollari).
La TV è soltanto una parte dell'impero mediatico di Berlusconi. Ha un pacchetto azionario di controllo della Mondadori, la più grande casa editrice italiana. Il reparto libri della Mondadori ha quasi il 30% del mercato interno. Il settore delle riviste, con circa 50 testate, il 38%. La famiglia Berlusconi possiede anche uno dei principali quotidiani nazionali italiani, "Il Giornale".
La Fininvest possiede anche il 36% del pacchetto azionario della società di assicurazioni Mediolanum, fondata nel 1982 da Ennio Doris con l'appoggio finanziario di Berlusconi. Mediolanum entrò in Borsa nel 1996. E la Fininvest è proprietaria di un nugolo di società in perdita, come ad esempio il portale Internet Jumpy e Pagine Utili.
La scia dei soldi
L'imprenditore Silvio Berlusconi si è svezzato nel settore immobiliare: a Milano e dintorni. Alla fine dei anni '60, ebbe l'idea di sviluppare Milano 2, una città giardino con 3.500 appartamenti. Fu costruita nei dintorni orientali di Milano sotto la rotta dei velivoli che decollavano dal vicino aeroporto di Linate. Il quartiere divenne ancora più apprezzato dopo che i velivoli furono misteriosamente dirottati su altre zone residenziali.
Ma non fu l'unico mistero. Aziende svizzere, con assetti proprietari impenetrabili, hanno iniettato 4.1 miliardi di lire (equivalenti a 33.5 miliardi di lire di oggi) nel capitale delle aziende italiane responsabili di Milano 2. Quindi, sulla carta, il progetto non apparteneva a Berlusconi, ma a terzi anonimi.
Funzionari alla Banca d'Italia sospettavano, tuttavia, che dietro alle compagnie svizzere ci fosse lo stesso Berlusconi. All'epoca detenere capitale all'estero senza divulgarlo alle autorità era reato. Una squadra dalla Guardia di Finanza, sotto la direzione di Massimo Berruti, indagò nel 1979 ma concluse, nonostante prove che dimostravano come Berlusconi avesse garantito personalmente prestiti bancari per le aziende italiane, che lui non era il beneficiario finale delle aziende svizzere. Il rapporto ufficiale fu firmato dal capo di Berruti. Anche lui membro, come Berlusconi, dell'associazione massonica P2. Immediatamente dopo la conclusione dell'indagine, Berruti ha lasciato la Guardia di Finanza e ha iniziato a lavorare come avvocato per Berlusconi. Oggi è parlamentare di Forza Italia.
Milano 2 fu l'origine dell'impero televisivo del Sig. Berlusconi, che, nel 1978, lanciò una rete locale di televisione via cavo, Telemilano. Questo progetto si ingrandì: e di molto. L'ambizione di Berlusconi era sfidare il monopolio RAI sulle pubblicità sulle reti televisive nazionali, per le quali esisteva una enorme domanda inepressa. Telemilano divenne Canale 5 nel 1980.
C'era solo un ostacolo: la legge prevedeva che la sola Rai potesse operare su tutto il territorio nazionale. Anche se le TV private erano largamente non regolate, una decisione giudiziaria del 1980 aveva permesso alle reti televisive private di operare solo su base locale.
Ma Berlusconi non tardò a trovare il modo di aggirare la decisione della corte. Acquistò programmi, in particolare film e telenovelas americani, e li offrì a prezzi stracciati a piccole reti regionali. Berlusconi raccoglieva le entrate da spazi pubblicitari pre-registrati che lui stesso inseriva. Ciascun canale del circuito Canale 5 accettò quindi di trasmettere gli stessi programmi negli stessi identici orari. Fu così che ci si assicurò un audience a livello nazionale.
Come ha fatto Berlusconi a finanziare il suo impero televisivo nascente? Una parte della risposta sta nel debito bancario. Le banche del settore pubblico hanno dato una mano consistente, fornendo alla società prestiti più ingenti rispetto a quelli che il merito di credito della Fininvest avrebbe comportato. Ma la parte restante della risposta non appare per niente chiara. Nel 1978, alla nascita del suo gruppo televisivo, Berlusconi creò 22 società holding che controllano la Fininvest. Dal 1978 al 1985, 93.9 miliardi di lire (387 miliardi di lire di oggi) confluirono nelle 22 aziende, apparentemente dal Sig. Berlusconi.
Nel 1997, un finanziere con legami con la mafia ha accusato Berlusconi davanti a magistrati siciliani di aver usato 20 miliardi di soldi mafiosi per costruire i suoi interessi televisivi. I magistrati chiesero che la Banca d'Italia collaborasse nelle indagini della divisione anti-Mafia. Due funzionari passarono 18 mesi a controllare e ricontrollare le carte contabili e azionarie delle 22 compagnie. The Economist possiede una copia dei loro rapporti, oltre 700 pagine. Le due conclusioni principali sono sconcertanti.
La prima è la mancanza di trasparenza da parte di Berlusconi rispetto alle due società fiduciarie registrate per esercitare i diritti proprietari delle sue azioni nelle 22 società. Le società fiduciarie erano sussidiarie della Banca Nazionale del Lavoro (BNL), una banca molto grande. Berlusconi metteva soldi nelle società holding attraverso due banche italiane poco conosciute, anziché tramite la BNL stessa. Quindi, le società fiduciarie della BNL non avevano un quadro chiaro su quale fosse l'origine di questi fondi. Nel 1994, i dirigenti della BNL erano talmente preoccupati per questo motivo che hanno eseguito due ispezioni diverse in relazione ai legami tra le Banca e le 22 società.
Queste ispezioni rivelarono altre anomalie, come, per esempio, alcune vendite di azioni che furono registrate esclusivamente sulla parola di Berlusconi, senza prova documentaria. Per esempio, quando vendette azioni in una delle società holding ad una sussidiaria Fininvest per 165 miliardi di lire, i fondi aggirarono completamente le società fiduciarie. E quindi non avevano idea come, o se, l'acquirente avesse pagato le azioni.
La seconda conclusione è che l'origine ultima del denaro versato nelle 22 società non può essere rintracciato, per tre motivi. Primo, 29.7 miliardi di lire erano stati pagati in contanti, o equivalenti. Secondo, gli investigatori non avevano trovato documenti di sostegno negli archivi delle società fiduciarie, delle banche o delle compagnie holding per 20.6 miliardi di lire. Terzo, Berlusconi era stato molto abile nel far fare ai fondi tanti giri.
Ma perché Berlusconi lo fece? Gli investigatori erano perplessi. Una società, Palina, evidentemente una parte terza, aveva mandato 27.7 miliardi di lire alle società fiduciarie, che a loro volta avevano trasferito la somma alle società holding. Da lì, i fondi raggiungevano la Fininvest e poi, tramite una sussidiaria Fininvest, di nuovo alla Palina. Tutte queste transazioni si verificarono nello stesso giorno e presso la stessa banca. Dietro alla Palina, gli investigatori scoprirono, si nascondeva lo stesso Berlusconi. Aveva usato un uomo di 75 anni, vittima di infarto, come prestanome. Subito dopo il completamento dell'operazione, la Palina fu liquidata. I suoi bilanci sono rimasti vuoti.
Dunque, la vera fonte dei 93.9 miliardi di lire che confluirono nelle 22 società nel periodo 1978-85 rimane un mistero che solo Berlusconi può risolvere. Gli abbiamo spedito domande scritte su questo argomento, ma si è rifiutato di rispondere. Una lettura attenta dei rapporti suggerisce che la possibilità di riciclaggio nelle 22 società non può essere esclusa. Banca Rasini, una delle banche poco note usate dal Sig. Berlusconi, e un tempo datrice di lavoro di suo padre, è spuntata in processi di riciclaggio negli anni '80. Ma gli investigatori antimafia non hanno trovato prove per sostenere le accuse che avevano dato avvio al loro lavoro. Speravano chiaramente di produrre un secondo rapporto, ma l'indagine era già scaduta per prescrizione.
Un amico che ha bisogno
Con l'acquisto dei suoi due principali concorrenti - Italia 1 nel 1983, e Retequattro nel 1984 - il dott. Berlusconi si assicurò quello che, in buona sostanza, era un vero e proprio monopolio nel settore delle tivù private.
Per aggirare la legge e poter trasmettere su tutto il territorio italiano, aveva però bisogno di un piccolo aiuto da parte dei suoi amici politici. Nessuno lo aiutò più di Bettino Craxi, che divenne capo del Partito Socialista nel 1976 e Presidente del Consiglio nel 1983. Il dott. Berlusconi, attraverso le sue due reti principali, offriva un'arma politica molto potente.
Nell'ottobre del 1984, in diverse città italiane funzionari pubblici sigillarono le sue tivù per aver trasmesso illegalmente. Questo avrebbe potuto comportare un disastro per il gruppo Fininvest, all'epoca fortemente indebitato. Nel giro di pochi giorni, Craxi - morto l'anno scorso in Tunisia, dopo essere stato condannato in contumacia per reati di corruzione - firmava un decreto che permetteva alle tivù di Berlusconi di continuare a trasmettere. Il decreto, dopo alcune scaramucce parlamentari, diventava legge.
Il decreto di Craxi non fece niente per vietare la concentrazione di proprietà nel settore televisivo. E non lo fece nemmeno la c.d. "legge Mammì" (dal nome di Oscar Mammì, allora Ministro delle Telecomunicazioni), varata nel 1990. La legge fu, infatti, "tagliata su misura" sugli interessi del dott. Berlusconi e sulle sue tre reti nazionali, proclamando che nessun singolo gruppo poteva essere proprietario di più di 3 delle 12 reti che avrebbero ottenuto le licenze dallo Stato. Il governo di coalizione all'epoca, che dipendeva fortemente dal Partito Socialista di Craxi, aveva insistito per il varo di questa misura controversa, nonostante le dimissioni, in segno di protesta, di cinque ministri. In effetti, la legge ha sancito il duopolio tra la Mediaset e la Rai.
Nel 1991 e 1992, il dott. Berlusconi versò un totale di 23 miliardi di lire nei conti correnti offshore di Craxi attraverso una parte clandestina' del suo impero Fininvest, la società All Iberian. In seguito a diversi indizi scoperti durante le indagini sui conti bancari di Craxi, gli inquirenti trovano una rete occulta e consistente di compagnie Fininvest, costituite in giurisdizioni come le Isole Vergini Britanniche e le Channel Islands. Queste società non furono contabilizzate come società collegate nei bilanci della Fininvest. Secondo gli inquirenti, nel 1993 il dott. Berlusconi firmò una lettera ai revisori contabili dichiarando il falso, e cioè che queste società non facevano parte del gruppo Fininvest.
Gli inquirenti affermano di essersi trovati di fronte ad una frode internazionale di largo respiro, perpetrata sotto la direzione del dott. Berlusconi, per travasare cifre enormi dalla Fininvest nelle compagnie segrete off-shore. Secondo loro, la Fininvest adoperò varie tecniche fraudolente: le società offshore, affermano i procuratori, usarono questi fondi per diversi tipi di attività illegali, come, ad esempio, l'acquisto conto terzi di azioni in diverse società quotate del gruppo Fininvest, con l'evidente intenzione di gonfiare il prezzo delle azioni. Un'operazione chiaramente fittizia come testimonia il fatto che le azioni, intestate al portatore, rimanessero sempre nelle mani dello stesso fiduciario. Un vero compratore di azioni al portatore in un'azienda quotata non le avrebbe mai lasciate in custodia della stessa persona utilizzata dal venditore.
Interessi offshore
Un'altra parte cruciale nelle accuse degli inquirenti è che le società offshore fossero usate per accumulare partecipazioni occulte in reti televisive in Italia e Spagna. Gli inquirenti affermano l'esistenza di prove documentali che lo dimostrano.
La legge Mammì prevedeva che il dott. Berlusconi dovesse vendere il 90% degli suoi interessi in Telepiù, una pay-tv da lui fondata nel 1990. Nonostante questa indicazione, il dott. Berlusconi, secondo gli inquirenti, mantenne il controllo di questa partecipazione fino al 1994 tramite le sue società offshore. Per farlo predispose contratti con collaboratori disposti a servirgli da prestanome. Ai sensi di tali contratti, mentre la proprietà legale delle azioni passava agli investitori, la proprietà beneficiaria rimaneva con le società offshore del dott. Berlusconi.
I magistrati scoprirono un'altra operazione simile, diretta ad accumulare una partecipazione del 52% in Telecinco, una rete televisiva spagnola. Il tutto in frode alla legge giacchè la legislazione spagnola antitrust, infatti, non permetteva di possedere più del 25% in quel tipo di attività. E' per questo che Baltasar Garzon, un magistrato anti-corruzione spagnolo, vuole che sia tolta l'immunità di cui gode Berlusconi in qualità di parlamentare europeo. Ma è probabile che dovrà attendere. Per otto mesi, i ministri della giustizia e degli esteri spagnoli sono stati coinvolti in uno scontro serrato per decidere quale sia l'autorità competente a sottoporre una richiesta al parlamento europeo.
Il dott. Berlusconi è attualmente indagato per aver falsificato i bilanci del gruppo Fininvest. La presunta falsificazione doveva nascondere tutte le presunte illegalità connesse. Il falso in bilancio è un reato molto serio in Italia, e comporta sentenze fino a cinque anni di prigione. I magistrati hanno chiesto recentemente che delle accuse altrettanto serie di falso in bilancio vengano formulate sui bilanci di gruppo della Fininvest .
E' comunque verosimile che il dott. Berlusconi stia programmando una scappatoia. Il 17 marzo, davanti ad un gruppo di imprenditori italiani ha dichiarato che, se eletto, il suo governo avrebbe depenalizzato la maggior parte dei casi di falso in bilancio, rendendo così vano il lavoro dei magistrati.
Ma nonostante i magistrati non abbiano potuto trovare la destinazione finale delle decine di miliardi di lire pagate da settori vari dell'impero segreto offshore del dott. Berlusconi, hanno scoperto dov'erano finiti alcuni pagamenti.
Il dott. Berlusconi ha ottenuto il controllo del gruppo editoriale Mondadori nel 1991, dopo una feroce battaglia legale con Carlo De Benedetti, un ricco imprenditore italiano che ha passato un breve periodo in prigione durante il periodo di mani pulite.
Il dott. Berlusconi è stato accusato di aver dato 400 milioni in tangenti ad un magistrato della Corte di Appello, di nome Vittorio Metta, per emettere una sentenza a lui favorevole nel giudizio conclusivo. Quando gli inquirenti hanno cominciato ad indagare sul caso, hanno scoperto che, nel 1992, il Dott. Metta aveva pagato 400 milioni di lire in contanti come parte del costo di un appartamento. Nel febbraio del 1991, un mese dopo la sentenza del Dott. Metta, una delle società segrete offshore versò 3 miliardi di lire sul conto svizzero dell'avvocato Cesare Previti, strettissimo collaboratore di Berlusconi e, in seguito, ministro della difesa nel governo da questi presieduto. Dal conto del Avv. Previti, gli inquirenti hanno seguito le tracce di un versamento di 425 milioni di lire sul conto svizzero di un altro avvocato, Attilio Pacifico, che a sua volta prelevò questa cifra in contanti nell'ottobre del 1991. Il Dott. Pacifico fu accusato di aver trasferito la tangente al Dott. Metta.
Nonostante i magistrati non avessero trovato prove dirette del pagamento in contanti al Dott. Metta, essi ritenevano di avere basi indiziarie sufficientemente solide. Un esame dei conti in banca del Dott. Metta non aveva, infatti, rilevato prelievi in contanti di 400 milioni nel periodo rilevante; stesso risultato aveva dato la verifica sui conti, italiani e svizzeri, intestati al magistrato italiano in pensione che, sempre secondo il Metta, gli avevaconsegnato i 400 milioni di lire in contanti; e questo anche se tali conti contenevano alcuni milioni di dollari.
Su queste basi gli inquirenti si convinsero del fatto che i 400 milioni di lire che il Dott. Metta aveva ricevuto in contanti provenissero dalla somma che il dott. Berlusconi aveva pagato all'Avv. Previti nel febbraio 1991. Ma, nello scorso mese di giugno, un magistrato ad un'udienza preliminare adottò un punto di vista diverso. Credette al Dott. Metta e, di conseguenza, quindi decise che il dott. Berlusconi e gli altri indagati, compresi l'avv. Previti e il Dott. Metta, fossero innocenti. Gli inquirenti hanno fatto appello contro questa decisone.
Trattare con i giudici
Berlusconi è sotto accusa anche per corruzione di magistrati. Tra i suoi co-imputati, che smentiscono le accuse, figurano Previti e Pacifico, e, di nuovo, il caso coinvolge De Benedetti come parte lesa.
Nel 1985, De Benedetti firmò un contratto per comprare la SME, un conglomerato alimentare, dall'IRI, un grande gruppo di proprietà dello Stato. Berlusconi e un altro imprenditore costituirono allora una società per poter fare un'offerta di acquisto migliore. Dopo una sentenza che nel 1986 sancì che il contratto di De Benedetti non era valido, il suo affare con l'IRI sfumò. A quel punto De Benedetti trascinò il caso davanti alla giurisdizione suprema, dove perse di nuovo.
Una delle accuse rivolte a Berlusconi, da lui smentita, è di aver promesso soldi a magistrati per decidere in suo favore in quell'occasione. Sia che queste accuse siano vere, sia che siano false, c'è un evidente movimento di denaro che, per il tramite di Previti, porta da Berlusconi a Renato Squillante, un giudice.
In questo senso The Economist ha documenti che testimoniano di un bonifico per 434.404 dollari del 6 marzo 1991 da un conto svizzero intestato a Berlusconi a un conto svizzero intestato a Previti; il 7 marzo, un bonifico trasferiva la stessa identica cifra dal conto di Previti al conto svizzero della compagnia panamericana Rowena Finance. Prove giudiziarie dimostrano che il conto della Rowena Finance appartiene a Squillante.
Nel 1994, Berlusconi ha tentato di nominare il suo sodale Previti come ministro della Giustizia, ma il Presidente della Repubblica si è rifiutato di approvare la nomina.
Berlusconi non si è presentato alle 26 udienze finora fissate in questo procedimento - alcune delle quali sono state rimandate molto recentemente, per permettere ai suoi avvocati di candidarsi nelle prossime elezioni. Il Sig. Berlusconi ha chiesto che i magistrati vengano ricusati, in quanto "maldisposti" nei suoi confronti.
Se viene giudicato colpevole del reato dalla corte di appello, potrebbe andare in prigione; l'accusa non cadrà in prescrizione se non nel 2008. A differenza del reato di falso in bilancio, sarà molto difficile per il suo governo, se riesce a vincere le elezioni, depenalizzare il reato di corruzione ai giudici. Questo processo potrebbe essere unico nella storia giuridica italiana. Nessun presidente del consiglio in carica dal dopoguerra è mai stato indagato in un processo criminale.
Di casa con Cosa Nostra?
I problemi tra Berlusconi e la magistratura non si sono limitati a Milano. In Sicilia, mafiosi pentiti - in particolare Salvatore Cancemi, le cui deposizioni hanno aiutato gli inquirenti a condannare alcuni boss mafiosi - hanno rivolto pesanti accuse al dott. Berlusconi ed al suo intimo amico, Marcello Dell'Utri. Nel 1996, Cancemi affermò che entrambi erano in diretto contatto con il boss mafioso che, nel 1992, ordinò l'attentato in cui fu ucciso il magistrato anti-mafia Paolo Borsellino.
L'anno scorso, dopo un'indagine durata due anni, i magistrati hanno richiesto che l'investigazione venisse archiviata senza accuse. Non hanno trovato prove per corroborare le accuse di Cancemi. Nel 1996, un'altra indagine, anche questa basata su accuse fatte da Cancemi sui presunti rapporti tra Berlusconi e la Mafia è stata archiviata, in modo analogo, dopo due anni di lavoro.
Un'inchiesta parallela si concluse con incriminazioni a Dell'Utri per associazione a delinquere, accuse che egli nega. Con l'eccezione di Berlusconi, quasi tutti i testimoni dell'accusa nel processo, cominciato nel 1997, sono stati ascoltati. Secondo Ennio Tinaglia, avvocato per la provincia di Palermo costituitasi parte civile nel procedimento, la Procura ha "presentato prove molto forti dei legami strettissimi tra Dell'Utri e la Mafia". La mera menzione della mafia fa sobbalzare i dirigenti Fininvest. "Nella graduatoria dei crimini solo la pedofilia è peggio della mafia. E' una cosa terribile, vergognosa" dice Fedele Confalonieri, uno degli ex-colleghi di. Dell'Utri.
Ma chi è Dell'Utri? A parte un breve periodo alla fine degli anni settanta, Dell'Utri, di origine siciliana, ha lavorato con Berlusconi in Fininvest dal 1974 al 1994. Come amministratore delegato di Publitalia, la sezione pubblicità del gruppo, era responsabile della società che generava la cassa del gruppo Fininvest. Il Sig. Dell'Utri, parlamentare, fu un fondatore di Forza Italia e l'organizzatore della campagna elettorale di Berlusconi nel 1994.
Gli inquirenti hanno richiesto che Dell'Utri risponda ad accuse di concorso in diffamazione nei confronti di altri magistrati. Ed è attualmente indagato perché accusato di aver tentato di corrompere un testimone per l'accusa nel suo processo. Nel 1996, un procedimento penale ha rivelato che tra il 1989 ed il 1993 Dell'Utri ricevette donazioni, spesso in contanti, per un valore complessivo di 4 miliardi di lire dal dott. Berlusconi.
Se Berlusconi non è obbligato a testimoniare nei processi contro di lui, non può rifiutarsi di testimoniare nel processo contro Dell'Utri, neanche se sarà eletto Presidente del Consiglio. La procura lo interrogherà sulla sua amiciza di lunga data con Dell'Utri. E dovrà rispondere anche ad altre domande che sinora ha evitato, che comprendono il come e il perché dell'assunzione di Vittorio Mangano, un mafioso pluricondannato appartenente ad una potente gang di Palermo, per lavorare presso la villa di campagna di Berlusconi vicino a Milano per due anni negli anni '70.
In cima alla lista degli inquirenti ci saranno le domande sulla documentazione dell'anti-Mafia relativa alle 22 società holding. E non dovrebbe essere tra le ultime domande poste quella relativa all'origine dei fondi di queste ventidue società. Così come quelle su una rete televisiva siciliana di cui Berlusconi fu coproprietario, insieme ad un'altra persona con legami mafiosi.
Nonostante le sue affermazioni di essere il prototipo dell'uomo che si è fatto da solo, Berlusconi ha avuto bisogno di molto aiuto da fonti malsane. Benchè lui dica di voler sostituire il vecchio sistemo corrotto, il suo impero né è in gran parte un prodotto. L'elezione di Berlusconi come primo ministro perpetuerebbe, anziché cambiare, le vecchie brutte abitudini italiane.
Versione originale inglese:
http://www.economist.com/opinion/displayStory.cfm?Story_id=587107