Dal sito Internet www.antoniodipietro.org
COMUNICATO N. 61
del 10 ottobre 2000Di Pietro: D'Alema boicottò Mani Pulite
(di Antonio di Pietro)
L'ex pm dichiara di averlo appreso da un prete e dall'editore del settimanale che pubblicò un dossier contro di lui. "Vorrei capire dov'è finito il miliardo versato da Gardini al Pds"Caro Walter, che mi dici della tangente Enimont?
Caro Walter, accolgo l'invito che ci aveva rivolto Paolo Flores d'Arcais, per aggiungere
un post scriptum di "aggiornamento" al nostro dialogo. Come ti avevo accennato,
negli ultimi giorni sono venuto a conoscenza di particolari inquietanti e, a questo punto,
inequivocabili che confermano ciò che andavo sostenendo da tempo: che, cioè soggetti
vicini ai vertici del tuo partito hanno partecipato attivamente a spargere veleni contro
di me, con la conseguenza volontaria o no - di delegittimare, e quindi bloccare
l'inchiesta di Mani Pulite proprio mentre stava raggiungendo il Potere a livelli
vertiginosi. Dei presunti "poker d'assi" di Craxi e dei dossieraggi targati
Berlusconi e Previti (dimostrati dalle sentenze del gip di Brescia, confermate in tutte le
altre sedi) sappiamo tutto da tempo. Ciò che mi addolora è venire a scoprire oggi, che
gli stessi sistemi sono stati messi in atto anche dal campo avverso.
Il Dossierone
Mi riferisco ai retroscena della pubblicazione del famigerato dossier
comparso sul Sabato, il settimanale di Comunione e Liberazione, nell'estate del 1993. In
quel periodo, ricordo, Primo Greganti era appena uscito dal carcere e il pool di Milano si
stava occupando della maxitangente Enimont, di cui un bel pezzo (il famoso miliardo di
Gardini) finì a una misteriosa entità di Botteghe Oscure. Proprio allora uscì il
dossier, che conteneva quasi tutti gli elementi che poi sarebbero confluiti in quelli
craxiani e berlusconiani-previtiani. Insomma, fu il padre di tutti i dossier anti-Mani
Pulite e anti-Di Pietro. Chi abbia materialmente raccolto e incollato insieme quegli
elementi non l'ho ancora scoperto. Ma a questo punto ha poca importanza. Quello che
finalmente ora so, dalle testimonianze dirette di due protagonisti di primo piano di
quella vicenda, è come quel pacchetto già confezionato e infiocchettato arrivò alla
redazione del Sabato.
Da Sbardella a Marchini
E chi ne pretese la pubblicazione e perché. Me l'hanno rivelato,
proprio in questi ultimi giorni, due personaggi del calibro di don Giacomo Tantardini e
Marco Bucarelli, leader incontrastati - allora e oggi - di Comunione e Liberazione a Roma.
E mi hanno autorizzato a riferire il loro racconto. Per questo avrei voluto continuare il
confronto con te anche su questo tema. Secondo la versione dei due "testimoni",
in quel periodo il settimanale viveva una difficile fase di transizione. Se la passava
malissimo dal punto di vista finanziario, ma era in attesa di essere acquisito - da parte
del costruttore romano Alfio Marchini, che stava per subentrare alla vecchia proprietà,
legata allo "Squalo" andreottiano Vittorio Sbardella. Per anni mi sono domandato
perché mai Marchini avrebbe dovuto avercela con me, visto che all'epoca non sapevo
nemmeno che esistesse. L'ho conosciuto soltanto nel 1996, quando il suo amico Massimo
D'alema mi invitò nel suo salotto a Roma, per discutere del nostro futuro politico. Ho
riflettuto spesso su queste "coincidenze" di tempi e persone. Perché quando ero
magistrato, capitava spesso che io stessi indagando su fatti e filoni investigativi in cui
io non sapevo ancora che cosa avrei trovato oltre la siepe, ma certamente i potenziali
destinatari degli accertamenti sentivano fin da subito il fiato delle indagini addosso, e
si organizzavano per reagire. In sostanza io non sapevo ancora dove sarei andato a parare,
ma loro sì. Ecco queste considerazioni, per così dire "postume" mi sono
trovato a farle dopo le rivelazioni ricevute da don Tandardini e da Bucarelli. Perché la
storia che mi hanno raccontato su quel dossier del 1993 è davvero singolare. Ed è la
seguente. Alla fine del 1992 i rapporti fra l'onorevole Sbardella e il senatore Andreotti
sono progressivamente deteriorati. Sul conto di Sbardella si rincorrono molte dicerie e
soprattutto sul suo capo si addensano nubi giudiziarie sempre più minacciose, con
inchieste sempre più incalzanti della magistratura, sia romana che milanese (anche da
parte mia). A quel punto Andreotti -secondo quanto mi hanno riferito i due
"testimoni" consiglia a quelli di Comunione e Liberazione di smarcarsi da quel
rapporto ormai ingombrante con Sbardella. E' a quel punto che Marco Bucarelli ha l'idea di
andare a bussare alla porta del Pds, sia per allacciare nuovi rapporti politici e
inbastire nuove alleanze, sia per trovare nuovi finanziatori per il settimanale in crisi.
"Pensavamo" mi ha detto Bucarelli, "che di lì a poco si sarebbe dato vita
a un "governissimo" per scrivere le regole delle riforme istituzionali, e noi
sostenevamo questa soluzione. Perciò pensammo di agganciarci anche alla sponda di
sinistra".
Il primo approccio
Il primo approccio fu alla fine del 1992: Bucarelli, accompagnato
dall'allora direttore del Sabato Alessandro Banfi, andò a parlare con l'allora capogruppo
del Pds alla camera, onorevole Massimo D'Alema. L'incontro avvenne nella sede del gruppo
parlamentare di Montecitorio. Bucarelli fece presente a D'Alema che per rilanciare il
giornale c'era bisogno di un socio che potesse portare un'iniezione di denaro fresco, un
capitale di 3-4 miliardi. Altrettanto ne avrebbero versati quelli di Comunione e
Liberazione. D'Alema - secondo Bucarelli - si sarebbe immediatamente mostrato disponibile
a trovare un nuovo socio finanziatore, che indicò subito in Alfio Marchini: "E' un
amico mio", avrebbe detto D'Alema, "e l'operazione è come se la facessi io. Il
partito non c'entra niente". Verso la fine del 1992 la comitiva, D'Alema compreso, si
reca perciò negli uffici di Marchini a Roma. Anche Marchini ci sta, ma chiede prima al
giornale si liberi della presenza ingombrante di Sbardella (che era ancora il presidente
del consiglio di amministrazione del settimanale, oltreché il finanziatore di
riferimento), Bucarelli attacca una lunga tiritera con Sbardella, per convincerlo a
dimettersi. E questi, alla fine seppure mugugnando, dà le dimissioni. La comitiva ritorna
da Marchini, e si cominciano a "guardare i conti" per formalizzare l'ingresso
del costruttore nel capitale sociale.
Trattative a singhiozzo
Ma poi le trattative si interrompono per un po', perché nel frattempo
Bucarelli finisce in carcere per fatti di Tangentopoli (un'inchiesta della procura di Roma
che lo vedeva coinvolto con l'accusa di aver estorto denaro al costruttore Francesco
Gaetano Caltagirone, anch'egli azionista del Sabato su indicazione di Sbardella). Il
negoziato riprende dopo il ritorno di Bucarelli in libertà. E, su sollecitazione di
Marchini, si decide di mettere in liquidazione la vecchia società editrice del Sabato e
aprirne una nuova con quote del 40 per cento a Marchini e del 60 per cento alle società
"cielline" della Compagnia delle Opere. Ancora una volta l'operazione subisce
uno stop, per il nuovo arresto di Bucarelli, che questa volta rimane in carcere e agli
arresti domiciliari per tre mesi. Nel frattempo Alfio Marchini precisa che una delle
clausole per accettare di entrare nell'affare è che il giornalista Roberto Chiodi diventi
capo della cronaca giudiziaria ("un amico", avrebbe detto Marchini,
"informatissimo, che si dimette dall'Espresso per venire a lavorare da noi al
Sabato"). E così accade. Un giorno Marchini, avvisa don Tantardini (e, tramite
questi, Bucarelli, sempre agli arresti domiciliari) che Chiodi ha un grande scoop tra le
mani, che bisogna pubblicare sul Sabato.
Marchini punta i piedi
Uno scoop che sia Tantardini che Bucarelli escludono sia stato
realizzato dalla redazione del settimanale, o comunque con l'intevento del giornale. Si
trattava semplicemente di un dossier sulla vita privata di Antonio Di Pietro, che arrivava
lì portato a brevi manu da Chiodi, calato da chissà dove, senza che nessuno ne sapesse
niente prima. Di primo acchitto Bucarelli e don Giacomo si mostrano perplessi
("sembra una porcheria, un killeraggio"). E, prima di dare l'ok alla
pubblicazione, decidono di consultarsi con il loro nume tutelare dell'epoca: Andreotti. E'
don Giacomo che va dal senatore e questi gli spiega che una cosa del genere sarebbe
inopportuna e controproducente ("stai attento, non lo fare, a volte queste cose non
hanno un riscontro oggettivo, a volte la realtà è diversa
"). Don Tantardini
non sa più che fare. Torna così da Marchini e gli spiega le sue perplessità. Marchini
però è irremovibile, e minaccia di non mandare in porto l'operazione dell'acquisto del
Sabato se non verrà pubblicato il dossier contro Di Pietro. Se invece il dossier verrà
pubblicato, Marchini si dice disponibile a rilevare fino al 55 per cento della società.
Il povero don Giacomo torna a fare la spola fra Bucarelli (ancora bloccato ai domiciliari)
e Marchini per scongelare la situazione di stallo, anche perché nel frattempo il giornale
sta per chiudere per mancanza di soldi. E' in quest'ottica che, durante un nuovo incontro,
Marchini fa chiaramente intendere a don Giacomo che è D'Alema che pretende la
pubblicazione del dossier. D'Alema gli avrebbe dato un imput ben preciso, se non si
pubblica il dossier viene meno l'interesse politico all'operazione. Insomma, o esce il
dossier, oppure Marchini non mette nemmeno una lira. E il Sabato chiude. A questo punto
stritolato, il giornale dà il via libera alla pubblicazione del dossier, che esce il 13
luglio. Ma ciononostante, alla fine, Marchini metterà soltanto qualche centinaio di
milioni invece dei quattro miliardi promessi e il giornale è costretto a chiudere.
Walter, tu dov'eri
Non prima però, di un ultimo incontro avvenuto alla fine dell'estate
del 1993, a casa di Marchini: quella volta interviene anche D'Alema, e Marchini sollecita,
come ultima condizione per entrare massicciamente nel giornale, la nomina di un nuovo
direttore: Rocco Buttiglione. Ma questo, per i leader romani di Comunione e Liberazione è
davvero troppo. E preferiscono lo "harakiri". Il racconto di Bucarelli e
Tantardini, caro Walter finisce qui. La morale te la risparmio. Ma mi piacerebbe tanto
sapere cosa successe dalle tue parti in quel periodo e soprattuto che fine ha fatto quel
miliardo portato da Raoul Gardini a Botteghe Oscure. Come sai, noi magistrati non potemmo
più andare avanti a causa della sentenza di prescrizione nel frattempo intervenuta, e
perché nessuno a Botteghe Oscure ricorda a quale piano salì e a quale porta bussò, quel
giorno. Gardini.
Con immutato affetto (almeno nei tuoi confronti)
P.S. Ah, se queste cose le avessi sapute a tempo debito!!!
Antonio Di Pietro
COMUNICATO N. 62 del 10 ottobre 2000Lettera aperta a Massimo
D'Alema
(di Antonio di Pietro)
Antonio Di Pietro chiede a Massimo D'Alema, in una lettera aperta, di spiegare agli italiani perchè, quando era capogruppo dei DS alla Camera, si diede tanto da fare per sostenere gli sbardelliani di "Comunione e Liberazione" e perchè convinse Marchini ad aiutarli finanziariamente e ad imporre Rocco Buttiglione a capo del loro settimanale. Ed ancora: Gardini venne o no a Botteghe Oscure a portare quel famoso miliardo? E se si, a chi lo consegnò?
Caro Massimo,
non ti nascondere dietro la "Porta (a porta)" offertati dal Bruno Vespa (che
come al solito - quando si tratta di me - si dimentica sempre di sentire la mia versione
dei fatti) per ricercare un salvacondotto dall'opinione pubblica senza dare spiegazioni.
Smettila anche di fare il solito arrogante pretendendo addirittura che io ti debba dare
delle scuse per fatti che semmai mi vedono vittima e non carnefice. Prova a rileggere
esattamente (dico esattamente e letteralmente e non solo basandoti sui titoli delle
agenzie e dei giornali sparati all'occorrenza) la lettera aperta che io ho inviato a
Walter Veltroni (sul quotidiano "Libero" di oggi c'è l'edizione integrale).
Prova poi a leggere il contenuto virgolettato delle dichiarazioni rese sempre oggi sul
quotidiano "La Stampa" da Marco Bucarelli a proposito dell'"intreccio di
convergenze" che ha reso possibile la pubblicazione di quel famigerato dossier ai
miei danni nel luglio '93 da parte de "Il Sabato".
Come potrai constatare, la mia ricostruzione dei fatti riporta fedelmente la versione
prospettata da Bucarelli: in entrambi i casi il tuo ruolo rimane sullo sfondo, in attesa
di chiarimenti di merito da parte tua.
E allora come la mettiamo? Invece di pretendere da me delle scuse (che non posso darti,
perchè non ce n'è ragione) chiedi al tuo amico Alfio Marchini (per intenderci, quella
stessa persona nella cui casa hai invitato, a mia insaputa, anche me a suo tempo per
parlare di politica) la ragione per cui - stante a quello che dice Bucarelli - si è
interessato tanto dell'assunzione di Chiodi a "Il Sabato" e, soprattutto,
perchè ha insistito tanto per la pubblicazione del dossier contro di me.
Spiega tu agli italiani perchè - da capogruppo dei DS alla Camera - all'epoca ti davi da
fare per aiutare gli sbardegliani di "Comunione e Liberazione" e perchè hai
convinto Marchini ad aiutarli finanziariamente. Spiega poi perchè Marchini voleva a capo
di quel giornale niente meno che Rocco Buttiglione.
Che politica trasversale è mai questa? Ancora più a monte, la Magistratura non ha
accertato (ne poteva all'epoca, stante la prescrizione e l'amnistia dei reati), ma tu puoi
aiutarci a capire (come nemmeno ieri da Vespa hai fatto): Gardini è venuto o no a
Botteghe Oscure a portare quel famoso miliardo? E se si, a chi lo ha consegnato?
Ed ancora: il 9 marzo 1993 - nel mentre si intrecciavano le trattative tra Marchini e
quelli di "Comunione e Liberazione" il noto e vostro Greganti, nel mentre si
trovava rinchiuso a San Vittore per una mazzetta da 621 milioni di lire elargitogli da
Lorenzo Panzavolta della Ferruzzi, riferì in un interrogatorio di un episodio accaduto
nell'89 (e quindi purtroppo anch'esso all'epoca delle indagini prescritte ed amnistiate).
Riguardava un blocco di polizia a cui era stato sottoposto dalle parti di Firenze
allorchè venne perquisito perchè trovato in possesso di una valigetta contenente quasi
un miliardo di lire in contanti o giù di lì.
Greganti spiegò che si trattava di denaro destinato al partito ed una volta in caserma
fece telefonare ad una "persona" di Botteghe Oscure per chiarire tutto.
Di chi e di che episodio si tratta? E perchè Botteghe Oscure mandava in giro Greganti con
una valigetta con 1 miliardo in contanti in mano?
Suvvia Massimo, smettila di fare l'arrogante e non comportarti anche tu come quelli
dell'Asinello che se la prendono con me per avere fatto aprire gli occhi ai loro elettori
sulla stupidaggine di essersi affidati qualche mese fa ad una squadra di post craxiani per
il rilancio dell'Ulivo.
A proposito di asinello, la sai l'ultima? Hanno preso un mare di miliardi di finanziamenti
pubblici (anche grazie al lavoro mio e dei tanti militanti dell'Italia dei Valori) ed
vedrai che tra poco finiranno per utilizzare per assoldare i guru americani della
comunicazione.
Quei rimborsi elettorali dovrebbero essere destinati a risarcire chi per il territorio
italiano ha speso soldi e tempo in campagna elettorale per il loro successo.
In conclusione, caro Massimo, non scuse devi pretendere ma giustificazioni devi dare, ed
al riguardo ti ribadisco subito che io sono e resto alternativo a Berlusconi (e certamente
lo sono più di tanti tuoi compagni di viaggio che sono all'interno del centrosinistra) ma
non per questo devo accettare supinamente veti, espulsioni, intimidazioni e
delegittimazioni.
Antonio Di Pietro